Oggi la società specializzata Markit ha pubblicato la prima stima (flash) degli indici dei direttori acquisti del mese di luglio. Per quella del Regno Unito si osserva una vera e propria gelata, una caduta verticale da porre in relazione all’esito del referendum sulla Brexit ed al forte aumento di incertezza che esso implica. In parallelo, quasi indisturbato, emerge il vistoso rallentamento del nostro paese, che nulla ha a che vedere con la Brexit ma che sarà puntualmente ad essa imputato.
Il report di Markit segnala che il rallentamento britannico si è prodotto sia nell’industria che nei servizi, soprattutto nei secondi. L’indebolimento della sterlina ha aiutato le aziende orientate all’export ma ha messo pressione sui prezzi all’importazione. Tutto banale ed intuitivo. Markit stima che il valore dell’indice composito dei direttori acquisti in luglio è compatibile con una contrazione del Pil nel terzo trimestre dello 0,4%, anche se il trimestre è appena iniziato e si attendono gli hard data, cioè i dati effettivi sui livelli di attività. Il problema, come segnalato, è che accadrà se e quando i tempi per la Brexit si allungheranno, e l’incertezza si trasformerà in protratto blocco degli investimenti e frenata dei consumi. Ma non precorriamo i tempi, wait and see.
#UK economy contracts at steepest pace since early-2009. Comp #PMI at 47.7 (Jun: 52.4) https://t.co/syioJOzaxs pic.twitter.com/3DIqontT0g
— Markit Economics (@MarkitEconomics) 22 luglio 2016
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Quello che ci preme segnalarvi è il dato italiano su fatturato e ordinativi dell’industria di maggio, che conferma (come si nota dalle medie mobili a tre mesi) che in Italia stiamo vistosamente frenando (frenando, non franando), e che comunque dobbiamo restare grati al settore auto che vive e lotta insieme a noi. Scrive Istat:
A maggio, rispetto al mese precedente, nell’industria si rileva una flessione sia del fatturato (-1,1%), sia degli ordinativi (-2,8%).
La diminuzione del fatturato mostra andamenti simili sia sul mercato interno (-1,1%) sia su quello estero (-1,2%). Il calo degli ordinativi è dovuto soprattutto al mercato estero (-5,7%), mentre quello interno registra una flessione più contenuta (-0,6%).
Nella media degli ultimi tre mesi, l’indice complessivo del fatturato diminuisce dello 0,3% rispetto ai tre mesi precedenti (-0,4% per il mercato interno e -0,1% per quello estero), mentre quello degli ordinativi mostra una flessione del 3,1%.
Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 22 contro i 20 di maggio 2015), il fatturato totale registra un calo in termini tendenziali del 2,7%, con una riduzione del 2,5% sul mercato interno e del 3,0% su quello estero.
Ora, possiamo anche leggerla dicendo che la deflazione mette pressione sui fatturati e che le tendenze reali sono differenti, ma le cose non stanno esattamente in questi termini. E comunque un’industria che ha pressione sul fatturato è un’industria che deve cercare di abbattere i costi, soprattutto fissi, per riuscire a restare vitale. E non parliamo di singoli dati, sia chiaro:
Oh-oh, mi è semblato di vedele un tlend… pic.twitter.com/YMlsvgrQFM
— Mario Seminerio (@Phastidio) 22 luglio 2016
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Oggi Istat ha pubblicato anche il dato del commercio al dettaglio di maggio, ed anche qui le cose non sono eclatanti, se guardiamo alle tendenze di breve e medio termine e soprattutto ai dati in volume, cioè depurati dalla variazione dei prezzi:
Nella media del trimestre marzo-maggio 2016, l’indice complessivo delle vendite al dettaglio in valore registra un calo congiunturale dello 0,3%. L’indice in volume diminuisce dello 0,4% rispetto al trimestre precedente. Rispetto a maggio 2015, le vendite diminuiscono complessivamente sia in valore (-1,3%), sia in volume (-1,8%). Il calo più sostenuto si rileva per i prodotti alimentari: -1,8% in valore e -2,0% in volume.
Quindi, al netto della pressione deflazionistica, persiste un andamento non brillante dei consumi anche in termini reali, ed anche questo (come vi diciamo da tempo) è destinato a mettere pressione sui conti delle aziende del commercio al dettaglio, ed indurle ad abbattere le strutture di costo, ove possibile.
Perché vi diciamo ciò, quindi, e soprattutto perché mescoliamo l’indice dei direttori acquisti britannico di luglio con i dati effettivi di industria e commercio italiani di maggio? Perché vogliamo fare con voi una scommessa: nei prossimi giorni, le voci italiane che chiederanno deroghe, flessibilità, mano sul cuore, pietà e clemenza per il nostro paese “a causa della Brexit, che è uno shock sistemico, signora mia”, si moltiplicheranno, divenendo il frastuono di pappagalli in una foresta equatoriale. Del resto, questo è il paese che nel 2008 era l’unico ad essere in contrazione nel G7 (col Giappone) e ne dava colpa a Lehman. Per non parlare dell’11 settembre, con le Twin Towers che sono collassate direttamente sull’economia italiana, come Giulio Tremonti, genio incompreso, si è sbracciato a ripetere per un triennio, sino al ripensamento critico perché solo gli stupidi non cambiano mai idea. Una fulgida tradizione italiana di sfiga sistemica, diciamo. E comunque la Germania cresce perché bara, sia chiaro:
German economic growth accelerates at the start of Q3. Headline PMI index at 55.3 (Jun:54.4) https://t.co/RHonJYUPY6 pic.twitter.com/i6Ofcdjliz
— Markit Economics (@MarkitEconomics) 22 luglio 2016
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Se non accettate la scommessa perché pensate che ci piaccia vincere facile, non vi biasimiamo.