Nel secondo trimestre di quest’anno, secondo i dati delle comunicazioni obbligatorie, sono state registrate 2,45 milioni di attivazioni di contratti nel complesso a fronte di 2,19 milioni di cessazioni. La maggioranza delle cessazioni sono dovute al termine del contratto a tempo determinato (1,43 milioni). Nel trimestre, le attivazioni di contratti a tempo indeterminato sono state 392.043, il 29,4% in meno rispetto all’anno scorso (-163.099), per evidente effetto della riduzione dei sussidi all’assunzione a tempo indeterminato. I rapporti di lavoro a tempo indeterminato cessati nel trimestre sono stati 470.561, il 10% in meno rispetto allo stesso periodo del 2015.
Si conferma quindi quello che segnalavamo tempo addietro: una strana stasi, con attivazioni e cessazioni in calo, in generale e sul tempo indeterminato. Ma c’è un altro dato, tra le comunicazioni obbligatorie del trimestre, che balza agli occhi e che pare fornire indicazioni di non particolare brillantezza del mercato italiano del lavoro. Tra le altre cessazioni sono aumentate quelle promosse dal datore di lavoro (+8,1%) mentre si sono ridotte quelle chieste dal lavoratore (-24,9%). In particolare sono aumentati i licenziamenti (+7,4% sul secondo trimestre 2015). Tra le cause di cessazione promossa dal datore di lavoro si nota anche un +21% alla voce “altro”, in cui sono contenute decadenza dal servizio e mancato superamento del periodo di prova.
Come dovrebbe essere piuttosto intuibile, un mercato del lavoro è dinamico quando tra le cessazioni cresce la componente riferita alle dimissioni spontanee del lavoratore, perché questo indica in prima approssimazione la presenza di migliori opportunità di lavoro. Invece, quello che emerge dalle comunicazioni obbligatorie del secondo trimestre è un aumento delle cessazioni per iniziativa del datore di lavoro, ed un crollo delle uscite per volontà del lavoratore.
Altra causa di dimissioni volontarie è, ovviamente, il pensionamento. Anche qui, dati eclatanti: nel secondo trimestre i pensionamenti sono stati 13.924, con un calo del 41,4% sullo stesso trimestre dell’anno precedente. In particolare, per le donne le uscite per pensionamento sono crollate (-47%), probabilmente anche a causa della stretta sui requisiti per la pensione di vecchiaia, operativa da quest’anno. Un calo ancora più consistente si era registrato nel primo trimestre con le cessazioni per dimissioni per pensionamento delle donne, ferme a 3.169 (-64,9%).
Quindi, tirando le somme: il mercato del lavoro è in stasi (che vi aspettavate, con un Pil che cresce poco e nulla?), calano le attivazioni a tempo indeterminato per effetto del forte ridimensionamento dei sussidi contributivi temporanei (quello lo sapevamo già, grazie), ma la composizione delle cessazioni indica un calo del dinamismo del mercato del lavoro, con meno opportunità per dimettersi, ed anche una gelata sui pensionamenti, che si rifletterà nell’ormai canonico aumento degli occupati nella fascia over 50, con grande apporto della componente femminile a seguito dell’entrata in vigore di nuove norme più restrittive, che consentirà al governo di gridare al miracolo, sulla creazione di “centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro”.
Chissà che pensa di questo quadro il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, già autore di una rivoluzionaria teoria sul mercato del lavoro come indicatore anticipatore (e non ritardato o al più coincidente) della congiuntura. Vado pazzo per i piani ben riusciti e per le illusioni ottiche.
Aggiornamento – Uno spunto di riflessione ed analisi del professor Michele Tiraboschi sulla gelata delle dimissioni volontarie, da aggiungere allo scarso dinamismo della congiuntura. Come sempre, il tempo dirà.
Non solo più licenziamenti (+7,4%) ma anche calo dimissioni (-24,9%) è effetto prevedibile del #JobsAct: chi cambia perde #Art18 @Phastidio
— Michele Tiraboschi (@Michele_ADAPT) 9 settembre 2016