Nuovo piccolo segnale di fumo nella costosissima (per i contribuenti italiani) telenovela Alitalia. Pare che Lufthansa abbia intenzione di offrire 250 milioni per la parte aviation della compagnia, con un organico ridotto di un quarto, a seimila unità. Come da consunto copione, è già iniziato il fuoco di sbarramento, distinguo, puntualizzazioni e patrio orgoglio che manderà a monte anche questa opportunità, salvo scoprire che mai è esistita e che domani andrà meglio.
Oggi i commissari mandano a dire che tratteranno con tutti, con l’unico vincolo di “far prevalere l’interesse pubblico generale”, che è “il mantenimento dell’integrità aziendale” (Sole). Qui però bisogna intendersi: se per “integrità aziendale” si indica che la parte handling deve restare attaccata alle operazioni di volo come la patella allo scoglio, avremmo serissimi dubbi circa l’esistenza di “interesse pubblico generale”. Peraltro, oggi filtra che per l’handling ci sarebbero persino delle offerte. Quanto al fondo di private equity Cerberus, che avrebbe presentato un’offerta fuori dai termini del bando, nei giorni scorsi le buche delle lettere dei giornali italiani si erano riempite di messaggi del tipo “bene, questo rafforza la mano negoziale dei commissari verso altri pretendenti”, mentre oggi il messaggio è “non prendiamo in considerazione offerte prive di contenuto industriale”. Come cambiano le contingenze.
Quanto alla presunta offerta Lufthansa, i commissari fanno filtrare che i 250 milioni sarebbero solo “la base di partenza”, mentre un prezzo obiettivo sarebbe tra 400 e 600 milioni. Notevole, come questa disastrata aviolinea sia diventata una sorta di tesoretto immaginario. Ma non basta: ecco l’ulteriore spiffero. I conti vanno bene, l’Ebitda è “quasi in pareggio”, quindi “niente svendite”. Il fatto che i conti Alitalia siano stati di fatto secretati non aiuta a capire ma aiuta i nebbiosi giochetti di politica e sindacato. Quasi comica ad esempio è la comunicazione che si poteva leggere ieri sul Messaggero:
Dopo il prestito ponte in cassa ci sono 850 milioni
La cura Gubitosi funziona, migliorano i conti nel semestre
Tutto meraviglioso, non trovate? In effetti il punto è che, se in cassa ci sono 850 milioni ma il prestito ponte pubblico ammonta a 900, con un complesso algoritmo pare che 50 milioni siano già stati spesi. Però, allegri: l’Ebitda è tornato “quasi in equilibrio”, di investimenti non si parla (ovviamente), si sta sulla gestione corrente e vissero tutti felici e contenti. Almeno, sin quando non ci sarà da pagare i 90 milioni di interesse sul prestito ponte, l’anno prossimo. Ma che sarà mai, quando si tratta di lottare contro la “speculazione”? Saremo anche stati eliminati dai Mondiali di calcio ma come scalciamo la lattina noi italiani, nessuno al mondo. Certo è che nessuno può biasimarci: impegnati come siamo, giorno e notte, a difenderci dagli assalti e dalle “scorrerie” di non meglio precisati “stranieri”, che attentano su base sistematica alla nostra economia, è dura trovare il tempo per avere anche imprese che guadagnino.
Prendete ad esempio la recente frase del presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, Pierferdinando Casini, che rispecchia un idem sentire del nostro paese:
«Il nostro sistema bancario non può permettersi di diventare terreno di conquista da parte della finanza internazionale, e chi vuole intendere non ha bisogno che io aggiunga altro»
Ottimo proposito. Che si somma all’ipotesi di estendere il golden power anche al settore finanziario, credito e assicurazioni, anche su consiglio dei nostri servizi segreti. Non sia mai che qualcuno arrivi a portarci via Generali, signora mia. Che c’è di meglio del golden power, per un paese privo di capacità di spesa pubblica ma le cui oligarchie tentano disperatamente di resistere? Basta dichiarare la strategicità e oplà, un bel posto in cda e addio contendibilità, direbbe il poeta. Ma comprendiamo perfettamente questa impostazione: dopo che agenti stranieri come Zonin, Consoli, Mussari e molti altri hanno tentato di abbattere il nostro sistema bancario, meglio cercare di proteggersi. Il risparmio degli italiani merita questo e ben altro, lo dice anche l’articolo 47 della costituzione più bella del mondo, del resto.
Questa sacrosanta autodifesa andrà forse a minare la credibilità dei nostri ministeri, in primis il MEF, quando vanno in giro per il mondo con la valigetta del bravo venditore, ma il gioco vale la candela. Ed è quindi giunto il momento di fare autocritica: mai più fondi sovrani del Qatar pronti a comprare Monte dei Paschi, mai più. Sono stranieri, potrebbero essere persino parenti meridionali di Mussari.