Sul Foglio la replica lievemente stizzita di Massimo Mucchetti alle critiche alla sua astutissima Web Tax, pubblicate ieri in un articolo che menziona, tra altri ben più accreditati, anche il vostro umile titolare. Tralasciamo le argomentazioni mucchettiane sui dati personali come giacimento di petrolio digitale sul quale applicare quindi l’imposizione (ho già scritto che il concetto mi convince, almeno sinora). Parliamo invece del rischio di traslazione dell’imposta sul consumatore, che Mucchetti rigetta con una scrollata di spalle, con argomentazioni ed un esempio piuttosto singolari.
Sostiene Mucchetti:
«Si censura la traslazione della web tax sul consumatore. Ma allora bisognerebbe abolire tutte le imposte sui consumi e forse anche quelle sul reddito! Faccio osservare che la norma tocca i rapporti imprese (B2B) e non l’e-commerce (B2C). Al B2C si arriverà se e quando avremo risolto i problemi connessi. Certo, in teoria, ai piedi della piramide c’è sempre il consumatore»
Uhm, no. La traslazione sul consumatore non è uguale per tutte le imposte. Pare che derivi dalle curve di domanda e offerta e, ovviamente, dal market power che di esse è causa ed effetto. L’argomentazione di Mucchetti è piuttosto semplicistica, a dire il vero, ma eviteremo di essere pedanti cultori della materia economica (hobbysti, più che altro: domine, non sum dignus). Se voi e Mucchetti volete farvi un’idea del concetto, ecco un ottimo educational.
«Ma andiamo al sodo con un piccolo esempio. Un ristorante paga a Google 400 euro l’anno per essere menzionato con tutte le immagini e le informazioni gradite. È possibile che Google ricarichi i 24 euro della web tax. Se quel ristorante non è in grado di recuperare il costo di una bottiglia di vino in un anno, forse ha problemi più seri»
Questo esempio è meraviglioso. Ricorda molto quelle campagne pubblicitarie del tipo “costa solo un caffè al giorno, che sarà mai?”. Solo che, di caffè in caffè, gli oneri a carico delle imprese e dei contribuenti lievitano. Ma sono solo piccole tosature, suvvia, e Mucchetti è di chiara ispirazione socialdemocratica. Lui tosa le pecore dopo averle fatte bere. Positivo comunque che l’ex vicedirettore del Corriere abbia scelto un esempio di impresa della old(est) economy, non aggredibile da rischi di delocalizzazione. Se avesse fatto lo stesso esempio con un’impresa italiana che compete con altre su scala internazionale, avrebbe constatato che la nostra sarebbe danneggiata. Ma è solo un caffè al giorno, che sarà mai?
«Se poi l’Agenzia delle entrate, avvalendosi della prima parte della norma, riuscirà a convincere Google a dichiarare una stabile organizzazione in Italia e a fare un bilancio decente, allora il prelievo si sposterà sui redditi d’impresa e non sarà simbolico ma nemmeno intollerabile»
Si, chiaro. Se poi Google giocherà coi prezzi di trasferimento dichiarando una bottom line a zero o giù di lì, Mucchetti ha già pronta la risposta:
«Penso infine che, nel mentre, i governi possano iniziare a rappresentare il valore di questi dati attraverso il prelievo fiscale sui ricavi, generati nel paese e fatturati da un altro paese fiscalmente più comodo, e attraverso il prelievo fiscale sui redditi d’impresa, ove le Ott dichiarino la stabile organizzazione avendo cura, i governi, di non farsi prendere per il naso con i transfer price»
Anche qui, sapere che il problema ultimo sono i transfer price e non la stabile organizzazione in Italia, che Mucchetti vuole imporre, è confortante manifestazione di consapevolezza. Ma se le cose stanno in questi termini, forse conviene attendere la Web Tax dell’Ocse o meglio quella della Ue, che eliminerebbe i rischi di un solo paese contro il mondo, impegnato a percuotere le gonadi dei propri contribuenti nel tentativo eroico di difenderli dal profiling aggratis. Ma Mucchetti dice no, meglio che ci muoviamo per primi. Il fatto che la sua creatura sia stata accuratamente messa in ghiacciaia per un anno, attendendo che qualcosa si muova a livello sovranazionale per evitare guai autoinflitti, non lo porta a riflettere che, forse, tanto geniale quell’idea non era. Ma è evidente la predilezione di Mucchetti per un’imposta sul B2B e non anche sui consumatori, con IBAN a portata di mano. Vedremo se l’altro massimo esperto di cose fiscali del Pd, Francesco Boccia, sarà d’accordo a graziare Amazon.
Però tranquilli, siamo in una botte di ferro, secondo Mucchetti:
«[…] considerato che l’American Chamber of Commerce nega ritorsioni, peraltro improbabili, degli Stati Uniti sull’export italiano e, domani, europeo, che cosa potranno mai fare l’Ocse e la Commissione europea se non aggiornare la stabile organizzazione e varare un’equalization levy?»
Ovviamente, l’equalization levy ha più probabilità di non essere autolesionistico se adottato su scala sovranazionale. Ma tranquilli: se l’American Chamber of Commerce nega ritorsioni, siamo a cavallo. Il momento è perfetto per stappare quella famosa bottiglia messa sul conto di Google e pagata dal ristoratore italiano e dai suoi clienti attovagliati.
- Lettura complementare consigliata: la replica di Giampaolo Galli alle tesi di Mucchetti.