Proseguono le (dis)avventure del governo di Boris Johnson e della sua spettacolare inclinazione a leggerezza e pressappochismo, che da tempo ci hanno portato a riconoscerlo come uno di noi (italiani). Insofferenza alle regole, allergia al concetto di pianificazione, foss’anche quella di decidere come vestirsi a inizio giornata, forte propensione a ritenere che i problemi scompaiano se solo li si ignora. A questo giro, oltre al furore (dicono) dell’opinione pubblica verso i maiali orwelliani che sono più uguali di altri animali, abbiamo anche la prova del legame saldissimo tra il Regno Unito e le sue ex colonie dell’altra sponda dell’Atlantico.
BoJo ha spedito in missione la Segretaria al commercio internazionale, Anne-Marie Trevelyan. Per far che?, vi chiederete. Beh, in prima battuta per verificare se sono vere le voci malevole secondo cui l’Amministrazione di Joe Biden non avrebbe ancora scongelato i dazi di era trumpiana su acciaio e alluminio britannici, come invece ha fatto con la Ue, per segnalare a Johnson di non pensare neppure lontanamente di stracciare il Trattato di Ritiro dalla Ue, nella parte relativa al cosiddetto Protocollo dell’Irlanda del Nord.
Restano i dazi americani contro il Regno Unito
Il messaggio sarebbe: non azzardatevi a mettere a rischio gli Accordi del Venerdì Santo, che hanno posto fine a una lunga guerra settaria in Irlanda, o saranno guai. Tenendo conto che negli Stati Uniti la diaspora irlandese è molto forte e che lo stesso Biden ha ascendenze irlandesi, il messaggio dovrebbe essere giunto chiaro e forte.
Naturalmente, la versione britannica è il solito fischiettio: “Cosa? Ma non è per quello, suvvia”, che sarebbe la versione riveduta e corretta del celebre “What? Me worry?” Ci sarebbe anche il dettaglio non troppo minore di Biden che al momento sta completamente ignorando il super-premio alla Brexit: il trattato di libero scambio tra USA e Regno Unito.
Nel lontano 2017, con Trump regnante, Johnson dal Foreign Office ballonzolava di gioia dicendo che il Regno Unito era “il primo della fila”, nel rapporto con gli americani. Purtroppo la fila ha smesso di avanzare pressoché subito e BoJo è rimasto col bigliettino numerato in mano. Il cambio della guardia a Pennsylvania Avenue non ha aiutato.
Poiché il calcio d’inizio di questo prestigioso negoziato tarda e il Regno Unito si trova pure a svantaggio rispetto alla Ue nella situazione dazi, la dissonanza cognitiva britannica è stata che Biden ha cose più importanti a cui pensare, e che comunque era “naturale” che gli americani sistemassero la questione dazi prima con la Ue, che è partner di maggior peso. Su quello non ci sono dubbi.
Nel frattempo, che fare? Due cose. Dapprima, spedire negli Usa la sottosegretaria Penny Mordaunt per (udite, udite) negoziare accordi commerciali con i singoli stati. E in che termini? Beh, cose del tipo allentare le barriere al mutuo riconoscimento delle professioni, nell’ambito dei servizi. Oppure agevolare l’ingresso di aziende britanniche negli acquisti delle pubbliche amministrazioni statali americane.
Buy American, e un po’ British
Che, nell’America di Biden, che nel public procurement è rimasta quella di Trump del Buy American, non sai se ti susciti più tenerezza o ilarità. Comunque, auguri alla sottosegretaria in California, Georgia, Tennessee, South Carolina e Oklahoma. In fondo, non sono le colonie originarie, quella della rivolta del the, e magari stavolta finisce meglio.
La cara vecchia tattica, non solo britannica, del divide et impera. L’hanno provata anche coi paesi della Ue, del resto. Peccato che non abbia sin qui funzionato ma riteniamo che il cantore dell’Impero, Niall Ferguson, approverebbe.
Seconda misura: minacciare gli americani di ritorsione commerciale a vasto raggio, se non sospenderanno i dazi su acciaio e alluminio britannico. E quindi dazi su cose tipo whisky, abbigliamento, cosmetici ma anche aragoste. Sottotitolo, “altrimenti ci arrabbiamo”. Da questo sguardo d’insieme, non pare che la celeberrima e un po’ sovraenfatizzata “relazione speciale” tra Washington e Londra se la passi bene.
Certo, quest’anno Johnson ha portato a casa l’accordo AUKUS, che ha strappato alla Francia la fornitura di sommergibili all’Australia, e non sta più nella pelle. I francesi hanno replicato che non intendono sanzionare i britannici, perché questi sono “l’ultima ruota del carro”. A seguire, insulti sulle licenze di pesca in acque britanniche e minacce di ispezioni al centimetro sui camion britannici in Francia.
Pare che Emmanuel Macron sia talmente irritato con Johnson da aver detto che “si comporta da idiota”, e che “è triste che un paese come il Regno Unito sia governato da un clown”. E mentre attendiamo che gli americani si spaventino e tolgano i dazi agli acciaieri britannici, il 2021 di Johnson si chiude con il colpo gobbo del trattato “sottosopra” con l’Australia, che pare spingerà il Pil britannico di un poderoso 0,1% nel lungo periodo rischiando però di schiantare gli allevatori britannici, soprattutto scozzesi. Ma non sottilizziamo.
Se c’era (a Downing Street), dormiva
Il casino del giorno è invece il Christmas Party dello scorso anno a Downing Street, in pieno lockdown stretto. Johnson non sapeva, e si è detto schifato e furioso. Non era un party, qualcuno ha tentato di spiegare, ma un rinfresco con vini e formaggi. Ah beh, in tal caso. Ma dobbiamo comprendere il premier: dopo tutto, Downing Street (dove egli lavora e vive) è un edificio semplicemente gigantesco, dove senza navigatore ci si perde. Quindi è possibile che egli non sapesse di un assembramento di una cinquantina di persone. Ah, no?
Per reagire al furore, Johnson ha piazzato alcune restrizioni pandemiche, tra cui l’invito allo smart working. Del resto, che c’è di meglio che mettere limitazioni subito dopo che si è scoperto che tutti gli animali sono uguali e alcuni lo sono di più?
Davvero spettacolare, questo approccio di Johnson, l'”etoniano della porta accanto”. Fingersi periodicamente morto su crisi che si accumulano. I membri del suo partito schiumano rabbia e, si dice, potrebbero avviare la famigerata raccolta firme per la sfiducia. Per fortuna dall’altra parte c’è il Labour, che a fingersi morto è insuperabile.
Restate sintonizzati, il Circo Johnson promette nuove mirabilie da far impallidire quelle italiane.
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