Inflazione taglia-debito? Non proprio

Proseguendo nell’analisi qualitativa del DEF, un commento di Lorenzo Codogno, economista e già alto dirigente del MEF, pubblicato su Domani è molto utile per integrare la comprensione di alcune dinamiche di base del rapporto debito-Pil. E anche per correggere la vulgata giornalistica secondo cui “l’aumento di inflazione riduce il rapporto debito-Pil”. Non è esattamente così.

Sapete, credo alla nausea, che quello a cui bisogna guardare per valutare l’evoluzione del rapporto debito-Pil è il cosiddetto “effetto palla di neve“. In soldoni, quando il Pil nominale cresce più del costo medio del debito, il rapporto di indebitamento cala. Dai dati del DEF, soggetti a incertezza elevata, il nostro paese riuscirebbe anche nel 2022 e 2023 a beneficiare in positivo di questo effetto.

Vi presentiamo il deflatore del Pil

Ma osserviamo la crescita nominale del Pil. Qualcuno ha detto che, “grazie all’inflazione”, essa sarebbe destinata ad aumentare. Non proprio. Occorre introdurre il concetto di deflatore del Pil. Che rappresenta la misura del livello dei prezzi di tutti i nuovi beni finali prodotti a livello domestico in un’economia in un anno. Il punto chiave è “a livello domestico”.

Il che significa che l’inflazione importata non solo non entra nel deflatore ma lo deprime. Come scrive Codogno:

Il Deflatore del Pil ‘depura’ la crescita del Pil dall’aumento dei prezzi, ovvero dall’inflazione. Ma come ogni studente di economia ha imparato, l’aumento del Deflatore può non coincidere con l’aumento dei prezzi al consumo.

Infatti il Deflatore si riferisce a tutte le componenti del Pil, incluse le importazioni. L’aumento dei prezzi di queste ultime però figura con il segno negativo.

Quindi, se l’aumento dei prezzi delle importazioni supera quello dei beni prodotti a livello domestico, il deflatore del Pil cresce meno, e di conseguenza anche il Pil nominale cresce meno. Il che vuol dire che il deflatore del Pil è concetto che non coincide con quello dell’inflazione al consumo, perché quest’ultima include anche i beni importati.

Per dare la misura, nel 2021 in Italia l’inflazione al consumo è stata dell’1,9% ma il deflatore del Pil è aumentato solo dello 0,5%. Nel DEF, a fronte di una inflazione al consumo per il 2022 al 5,8%, il deflatore delle importazioni è atteso crescere del 7,6%, per effetto dello shock avverso delle materie prime, soprattutto energetiche. Di conseguenza, il deflatore del Pil aumenterà solo del 3%, frenando l’aumento del Pil nominale.

Shock avverso delle ragioni di scambio

La cosa è intuitiva: si chiama shock negativo delle ragioni di scambio. Possiamo quindi inferire che, ceteris paribus, lo shock energetico lavora contro la riduzione del rapporto debito-Pil. C’è poi un altro tipo di effetto avverso sul rapporto debito-Pil, derivante dal massiccio shock negativo alle ragioni di scambio.

Dovendo spendere di più per energia e alimentari,

Le famiglie avranno meno reddito reale da utilizzare per la parte residua dei loro consumi. Inoltre, gli utili si comprimeranno, e quindi le imprese faranno meno investimenti.

Di conseguenza, ciò che nasce come shock avverso di offerta si tramuta in shock negativo di domanda. Cioè deprime il Pil, e di conseguenza, a parità di ogni altra condizione, tende ad aumentare il rapporto debito-Pil.

Più Btp Italia, un problema

Altro problema evidenziato da Codogno:

Lo stock di titoli di stato indicizzati all’inflazione è aumentato significativamente negli ultimi anni sino a un 11,1% del totale a fine 2021. Gli interessi sono legati ai prezzi al consumo e non al Deflatore, e quindi contribuiscono a spingere la spesa verso l’alto in rapporto al Pil.

Questo è anche l’effetto delle reiterate emissioni di Btp Italia avvenute in questi anni. Ricordiamo tuttavia che, anche se non avessimo una quota insolitamente elevata di debito pubblico indicizzato ai prezzi al consumo, quando un paese ha elevato indebitamento, aumenti di inflazione tendono ad accrescere anche il premio al rischio, cioè il rendimento chiesto dagli investitori per sottoscrivere il debito di quel paese.

Per farla breve: l’effetto palla di neve opera ancora a favore del nostro paese, dopo lunghi anni di effetto avverso che ci hanno condannato ad avanzi primari elevati e crescenti. Tuttavia, la presenza di uno shock negativo alle ragioni di scambio e una quota crescente di titoli di debito pubblico indicizzati all’inflazione al consumo, tendono a erodere il beneficio.

Come si nota, se bastasse uno shock inflazionistico per ridurre l’onere reale del debito, dovremmo festeggiare questa esplosione di prezzi delle materie prime. Che, come potete intuire visto che l’Italia è paese trasformatore, sarebbe da imbecilli. Utile tenerlo a mente.

Foto di klimkin da Pixabay

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