Ieri, l’Ungheria ha annunciato di aver raggiunto un accordo per differire i pagamenti ai russi di Gazprom per la fornitura invernale di gas, nel tentativo di allentare la pressione sul cambio del fiorino e sul deficit delle partite correnti, sulla cui componente commerciale grava la crisi energetica. Proprio nella giornata di ieri, prima dell’annuncio, la divisa ungherese ha toccato un nuovo minimo storico contro il pur ammaccato euro.
Compra ora, paghi dopo
L’accordo tra Gazprom e la società energetica di stato ungherese, MVM, prevede il rinvio dei pagamenti per acquisti di gas se il prezzo supera una data soglia, consentendo ai compratori di pagare la differenza nei tre anni successivi. La soglia di prezzo non è stata specificata dalle autorità ungheresi, che si sono limitate a dire che è inferiore ai valori correnti di mercato.
Secondo una simulazione governativa, ai prezzi di mercato correnti l’accordo vale 1 miliardo di euro di pagamenti differiti. Con un prezzo a 300 euro a megawattora, il differimento varrebbe da 3,5 a 4,5 miliardi di euro.
La misura serve all’Ungheria per allentare lo stress su cambio e bilancia commerciale, oltre che per ridurre l’impatto sul bilancio pubblico. La prima reazione di mercato è stata positiva.
In pratica, il governo Orban ha chiesto e ottenuto da Mosca di farsi un tetto al prezzo del gas. Il problema è che l’accordo, pur togliendo pressione finanziaria immediata, è una sorta di “buy now, pay later“, spostando quindi nel tempo l’onere finanziario.
Vedremo quali contropartite politiche Mosca otterrà da Budapest in Europa, considerando che la posizione finanziaria ungherese, dopo il congelamento dei fondi del Recovery Fund, è destinata a restare molto tesa, soprattutto se dovesse arrivare al traguardo anche il taglio di parte dei fondi di coesione ricevuti dall’Ungheria.
Le tensioni finanziarie, acuite dalla crisi energetica, spingono Viktor Orban a cercare fonti finanziarie alternative mentre il parlamento ungherese approva le misure chieste dalla Commissione europea. Giorni addietro si è sparsa la voce della presenza a Budapest di funzionari del Fondo Monetario Internazionale, fuori dal consueto calendario di valutazione periodica dell’economia, il cosiddetto Articolo IV.
Nessuna conferma né commento di tale presenza, che qualche osservatore ha suggerito fosse relativa alla richiesta di Budapest al FMI di una linea di credito prudenziale. Nel frattempo, il parlamento ungherese ha approvato il primo di una serie di disegni di legge anticorruzione chiesti da Bruxelles come condizione per ricevere i fondi del Recovery.
Per l’Ungheria, vale la considerazione di sempre: in caso la decadente democrazia liberale occidentale risultasse intollerabile, con i suoi pesi, contrappesi e separazione dei poteri, la via maestra resta quella della Brexit, cioè l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di funzionamento della Ue.
L’esperto in valute dissestate chiamate lira
Nel frattempo, la società importatrice energetica statale turca, Botas, avrebbe avviato colloqui con Gazprom per differire parte dei costi del gas al 2024, nel quadro dell’accordo stipulato con Mosca che prevede il pagamento sino al 25% delle forniture in rubli anziché dollari. La richiesta non è sinora stata formalizzata a livello governativo ma appare simile allo schema ottenuto dall’Ungheria.
Giorni addietro il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, dopo aver sbeffeggiato la crisi della sterlina britannica, forse dall’alto della sua inequivocabile expertise in crisi di valute che portano quel nome, aveva anche fatto la lezioncina agli europei, dicendo che stanno “raccogliendo quello che hanno seminato” riguardo ai prezzi dell’energia, non prima di aver ribadito che la Turchia quest’inverno non avrà problemi. Malgrado i robusti afflussi di dollari (a debito), pare invece che la Turchia i problemi li abbia, e non solo riguardo al costo del gas.
Vedremo se la trattativa con Gazprom si concretizzerà e con quali contropartite. La Turchia vende assai efficaci droni all’Ucraina ma serve a Mosca per gli scambi commerciali, anche se di recente le banche turche si sono chiamate fuori dall’accordo che avrebbe consentito a cittadini ed entità russe di usare nel paese il proprio circuito di carte di credito MIR. La minaccia americana di sanzioni secondarie è giunta forte e chiara a mettere alcuni paletti alla spregiudicatezza del Sultano “mediatore”.
Lo schema di “tetto” ai prezzi dell’energia, che Orban e forse Erdogan hanno deciso di appaltare a Mosca, rischia di essere una pericolosa e onerosa illusione e rovinare in testa ai committenti, dopo averli incravattati. Nel frattempo, i due paesi stanno disperatamente cercando di usare le leve negoziali di cui dispongono, ad esempio trascinando i piedi sulla ratifica della domanda di ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. Arma che potrebbe essere in parte già spuntata.