Quando, qualche mese addietro, fu annunciato l’accordo tra gli americani di Whirlpool EMEA e i turchi di Arcelik che prevede la nascita di una nuova società di cui i secondi avranno il 75%, ho segnalato gli evidenti rischi per i quattro impianti italiani della multinazionale degli elettrodomestici bianchi.
Altrettanto evidente anche la volontà degli americani di avviare un disimpegno da un settore che soffre non poco, soprattutto in Europa. Ora il governo italiano risponde all’operazione, e lo fa invocando il golden power, cioè i poteri speciali in materia di asset strategici. Tutto nell’ormai leggendario consiglio dei ministri del primo maggio.
Golden Power sull’occupazione?
In altri termini, Roma autorizza l’operazione subordinatamente all’ottenimento di garanzie a tutela del patrimonio tecnologico, dei livelli produttivi e quindi dell’occupazione. Attualmente in Italia, dopo la chiusura di quello di Napoli, operano quattro impianti Whirlpool: in Lombardia, Toscana e Marche, con oltre 4.600 dipendenti.
Ma quale è la probabilità di aver successo con questi vincoli, e quali sono le potenziali ricadute negative per il nostro paese? Occorre premettere che l’aggregazione è al vaglio dell’Antitrust europeo, oltre al fatto che le due aziende non sono italiane (circostanza che si tende a scordare). L’accordo nasce dall’esigenza di consolidare un settore maturo che, come detto, è in sofferenza e va verso una fase di necessaria concentrazione. Quindi si presuppone che il business plan di aggregazione abbia indicato l’entità delle sinergie di costo, sui cui creare valore. Lo scorso gennaio fonti di stampa indicavano risparmi per 200 milioni di euro dalla combinazione.
Ipotizziamo anche che l’antitrust europeo dia il proprio benestare all’aggregazione. Cosa che dovrebbe avvenire, vista l’esigenza di stabilizzare un settore che rischia di affondare se lasciato nelle condizioni correnti. Ipotizziamo anche che il “valore” le due società vogliano crearlo spostando le produzioni in Turchia, per motivi legati al costo del lavoro. Che fare con e del golden power italiano? Il caso estremo è la chiusura degli impianti italiani, per cessazione di attività. Per la proprietà sarebbe operazione costosa ma non infattibile, nel senso che la creazione ex novo di una entità turca, da cui capitalizzare i risparmi, potrebbe comunque compensare gli oneri dell’eventuale traumatico disimpegno dall’Italia, anche se su tempi più lunghi.
In quel caso, che farebbe il governo italiano? Potrebbe rilevare gli impianti e avremmo gli elettrodomestici bianchi di Stato ma l’ottica sarebbe piuttosto problematica, a livello d’immagine internazionale, per due motivi. Il primo sarebbe la difesa alla baionetta di un settore a basso valore aggiunto, forse quello che più di altri simboleggia il modo in cui il nostro paese è rimasto incastrato in questo tipo di produzioni, subendo la crescente concorrenza di paesi asiatici e, appunto, della stessa Turchia. Ricordate la triste e surreale vicenda di Embraco e dei suoi compressori? Il secondo effetto avverso sarebbe il possibile (o forse probabile) danno reputazionale agli occhi degli investitori esteri. A cui arriverebbe il messaggio che, una volta entrati in Italia, non si azzardino a pensare di uscire, per nessun motivo.
I vincoli del mercato unico europeo
Utile ricordare che l’esercizio del golden power nazionale non è comunque incondizionato e illimitato, trovando vincoli nella disciplina del mercato unico e nella compatibilità con esso delle decisioni nazionali. Sul piano normativo e della sua evoluzione, tutto è iniziato col decreto legge 21/2012 che ha segnato il passaggio dal regime di golden share a quello di golden power. Il quale
[…] consente l’esercizio dei poteri speciali con riguardo a tutte le società che svolgono attività di rilevanza strategica e non più soltanto nei confronti delle società privatizzate. Opera, inoltre, a prescindere dalla titolarità in capo allo Stato di partecipazioni nelle imprese strategiche. Stabilisce, da ultimo, i limiti e le condizioni per l’esercizio dei poteri speciali e, tramite il rinvio ad appositi decreti regolamentari, gli ambiti nei quali essi operano, nonché le relative procedure.
A occhio e naso, non si direbbe che gli elettrodomestici bianchi rappresentino attività di rilevanza strategica. La formulazione ha consentito di “allungare” il concetto in base alla “minaccia di grave pregiudizio” per gli interessi pubblici. Ma, anche qui, non è che se mi alzo una mattina e decido che le lavatrici sono la chiave di volta d’aaaa mia nazzzione, gli odiati burocrati di Bruxelles e il loro amato mercato unico mi diano semaforo verde. Occorre anche tener conto di principi di proporzionalità e ragionevolezza, e gli interventi devono essere valutati in base a criteri oggettivi e non discriminatori. Detto in altri termini: se l’Antitrust europeo autorizza l’aggregazione, c’è poco che uno stato nazionale possa fare o dire per opporvisi. A meno di indurre le aziende coinvolte a chiudere e riaprire altrove.
Quindi, per sintesi: proviamo a cercare l’interesse strategico pubblico ovunque, ma dobbiamo superare alcuni test di senso comune, legati al vincolo di tutela dell’integrità del mercato unico. Dopo di che, se insistiamo a pensare che gli stabilimenti di assemblaggio degli elettrodomestici bianchi sono equiparabili a Difesa, sicurezza nazionale, tecnologia con particolare ma non esclusivo riguardo al 5G, reti di energia, trasporti, comunicazioni e altri settori rilevanti così come definiti ai sensi del Regolamento Ue 2019/452, e sia. Ma mantengo serie riserve. Ma forse dentro gli impianti Whirlpool operano tecnologie (di proprietà del gruppo, ovviamente) senza le quali il nostro paese subirebbe grave nocumento e arretramento dalla frontiera tecnologica.
Il potere di imbalsamare l’esistente
In questa iniziativa del governo italiano, che rischia di apparire oltremodo velleitaria, si ripropone questo malinteso concetto di interesse nazionale all’imbalsamazione dell’esistente. Un po’ come realizzare piani di rilancio per Ilva a partire dai livelli occupazionali e da essi far discendere il livello di produzione necessaria, che quindi diventa variabile indipendente dalla realtà. Un giorno, tra molto tempo, un antropologo spiegherà i processi culturali che hanno plasmato questa mentalità italiana.
Come finirà? Azzardo: la DG Competition della Ue approverà l’aggregazione, a cui il governo italiano non potrà opporre alcun veto e avvierà quindi una “interlocuzione” con l’azienda, che spiegherà che gli organici potrebbero ridursi sotto il livello attuale in conseguenza di innovazione di processo o altro. Il nostro esecutivo, preso atto di generici impegni a non forzare la traiettoria di riduzione e/o fissare un livello minimo di occupazione (auguri), autorizzerà l’operazione. Oppure cercherà di sussidiare quei posti di lavoro, chiedendo a Bruxelles l’autorizzazione ad aiuti di stato perché, senza la tecnologia di Whirlpool, per noi sarebbe un grave problema. E vissero tutti felici e contenti. Soprattutto i videomaker di Palazzo Chigi.
A proposito, ma la multa per l’uso su siti governativi italiani di espressioni straniere come “golden power” quando arriva?
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