Ann Coulter e le tassonomie progressiste

A beneficio di Ezio Mauro e di tutti i republicones dotati di scarso discernimento ed assai minore onestà intellettuale, che continuano a vedere neocon ad ogni angolo (rigorosamente oscuro) di strada, ecco un bell’articolo su Ann Coulter scritto da Alessandro Tapparini su Notizie Radicali. Speriamo possa essere utile nella titanica opera tassonomica intrapresa dalla nostra brillante intellighenzia progressista per meglio individuare e demonizzare il nuovo nemico.

PERCHE’ NON C’E’ UNA ANN COULTER DI SINISTRA?

di Alessandro Tapparini

“Simbolo Sexy dei neo-con”: così lunedì 18 aprile La Repubblica, con un articolo di Arturo Zampaglione, etichettava l’opinionista americana Ann Coulter nel dar conto della copertina, a lei dedicata, dell’ultimo numero di TIME.

A Repubblica non sono nuovi a codesti svarioni: già nel luglio 2003 in un articolo di Federico Rampini sulla Coulter la stessa veniva ripetutamente etichettata come “neocon”.

E invece, la bionda polemista del Connecticut è ed è sempre stata, più semplicemente, una classica, becera conservatrice: nulla a che vedere, quindi, con i famigerati neo-con (che per definizione sono quella anomala destra venuta da sinistra portandosi dietro una parte rilevante del bagaglio culturale radical). Per rendersene conto basterebbe considerare i giudizi (“volgare demagogo”, “fenomeno disgustoso”) che Irving Kristol, supremo maitre-à-penser neo-con, scrisse a suo tempo su quel mitico senatore McCarthy che la Coulter è invece da anni impegnata a riabilitare.

In effetti molti neo-con la detestano proprio: memorabili gli spietati strali lanciati contro di lei da Andrew Sullivan sul Sunday Times. Alla National Review, testata che si colloca “più a destra” dei neo-con, non digerirono il suo editoriale scatenato del 12 settembre 2001, in cui lanciava il suo ormai celebre proclama (poi riprodotto persino su una popolare t-shirt): “Dobbiamo invadere i loro paesi, uccidere i loro leader e convertire i loro popoli al cristianesimo“. Quando il giorno dopo inviò un secondo articolo in cui chiedeva perquisizioni su tutti gli “individui sospetti dalla carnagione scura“, la rivista le revocò l’incarico.

In quel “convertire i loro popoli al cristianesimo” c’è un macroscopico divario culturale, sia ideologico che estetico, rispetto ai neo-con, i quali con il cristianesimo hanno solitamente ben poco a che spartire (come peraltro non mancò di sottolineare la stessa Coulter, la quale, quando le chiesero se si considerava una neoconservatrice, rispose beffarda: “No: non sono mica ebrea…”).

Quelli di Repubblica non la finiranno di prendere lucciole per lanterne finché seguiteranno a parlare (come faceva Zampaglione nel suo pezzo di lunedì) di “nuova destra” americana, come se ce ne fosse una sola, compatta ed omogenea. Sarebbe ora che si decidessero ad indagare seriamente sul variegato arcipelago delle molte, diverse destre americane, vecchie e nuove.

Quarantenne rampante e populista, Ann Coulter ha conquistato la fama nei primi anni ’90 partecipando ai talk-show televisivi, nei quali si fece notare per la faziosa aggressività, oltre che per la chioma biondissima e la silouette “leggy” (= coscialunga). Votata in modo un po’ maniacale alla denigrazione della sinistra liberal, nutre per i progressisti un’ avversione, per così dire, sociologica: “storicamente il modo migliore per convertire un liberal è che lasci la casa dei genitori, trovi un lavoro e cominci a pagare le tasse“. Quando un tabloid newyorchese scoprì che il suo boyfriend del momento era un giovane musulmano, rispose: “Embè? non è mica di sinistra!”.

Con il tempo la feroce biondona divenne un personaggio tanto popolare che gli autori di “The West Wing”, il celebre telefilm della NBC che narra le vicende di una Casa Bianca di marca fieramente democratica, inserirono nel copione un personaggio vistosamente modellato su di lei (“Ainsley Hayes”, interpretata dall’attrice Emily Procter), che nella fiction viene cooptato nello staff presidenziale di sinistra per consentire al presidente di meglio rapportarsi con i sentimenti dell’opposizione (cosa alla quale, hanno notato in molti, la “vera” Coulter non sarebbe mai disposta).

Certo, la popolarità della Coulter è in parte dovuta alla sua dirompente telegenicità (“once you see her, it’s hard to look away“, ha scritto di lei il quotidiano britannico di sinistra The Guardian); ma se si trattasse solo di questo non si spiegherebbe perché non esista un suo omologo a sinistra.

E allora, per capire, bisogna avere la pazienza di leggere il suo libro più venduto, “Treason” (“Tradimento”, edito in Italia da Rizzoli), e così facendo imbattersi – a dispetto di uno stile ripetitivo, fastidiosamente pedante ed autocompiaciuto (la paragonano spesso ad Oriana Fallaci, ma la scrittura ricorda piuttosto quella di un Roberto Gervaso) – in una narrazione accurata e ben documentata di alcune verità scomode sulla Guerra Fredda tutt’ora ignorate dai più anche perché a lungo “censurate”.

Lo sapevate che la presenza di una ventina di spie sovietiche nell’amministrazione Roosevelt era stata svelata già nel 1948 grazie all’audizione del giornalista ex comunista Whittaker Chambers davanti all’HUAC (House Un-American Activities Commitee) per iniziativa del giovane Richard Nixon?

E che quella testimonianza fu spregiudicatamente screditata dall’establishment democratico, che fece passare Chambers per un mitomane animato da morbose invidie personali?

Chi conosce la storia dell’insospettabile spia Alger Hiss, rampollo di una famiglia aristocratica laureato ad Harvard, divenuto alto funzionario del Dipartimento di Stato e consigliere di Roosevelt a Yalta, e poi segretario generale, su incarico di Truman, della Conferenza di San Francisco in cui venne abbozzata la Carta delle Nazioni Unite?

E quanti sanno che alcune famose “vittime della persecuzione maccartista” come i coniugi Rosemberg, condannati per spionaggio e finiti sulla sedia elettrica nel ‘53 fra le proteste generali, in realtà erano davvero spie di Mosca?

E che di tutte queste cose ci fossero, già negli anni ’50, prove incontrovertibili che però non furono rese pubbliche per non bruciare la “copertura” del “Venona Project”, un’operazione top secret di decrittazione delle comunicazioni tra i russi e le loro spie in america, messa in piedi “ufficiosamente” dall’esercito senza informarne la Casa Bianca e desecretata solo in tempi recenti?

Evidentemente ci voleva una Ann Coulter per scrivere un libro divulgativo su queste cose così notevoli e così poco note.

Ecco chi è, in sostanza: una scalmanata reazionaria che racconta appassionatamente al grande pubblico questo genere di cose, a lungo considerate indicibili perché sgradite ai custodi della vulgata politicamente corretta. L’America non saprebbe proprio che farsene di una come lei, se non fosse per i decenni di perbenismo luogocomunista che hanno dato un senso ad un personaggio così, ed hanno relegato, nell’immaginario collettivo, i raffinati bravi ragazzi desinistra nel triste ruolo dei veri “conservatori”.

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