Bipolarismo e vecchi merletti

Con l’iniziativa di costituire un soggetto unico del centrodestra (non chiamiamolo partito unico, il professor Sartori e la memoria storica ne sarebbero urtati…), Silvio Berlusconi sta tentando di aggirare le disfunzioni del sistema elettorale italiano e, al contempo, di impedire che l’apparente frana di consensi per Forza Italia provochi la liquefazione di un partito che non è mai riuscito a mettere radici sul territorio e ad emanciparsi dalla figura del proprio creatore. Andiamo con ordine. L’attuale legge elettorale italiana, che il professor Sartori definì mattarellum, dal nome del suo primo firmatario, l’esponente dei Popolari Sergio Mattarella, vide la luce dopo una tormentata gestazione nell’agosto 1993, sulle macerie del sistema partitico distrutto da Tangentopoli. Un sistema imperniato su due pilastri: il parlamentarismo e la legge elettorale proporzionale. Come noto, uno dei principali trade-off dei sistemi politici è quello tra governabilità e rappresentatività. La nascita della Costituzione del 1948 fu caratterizzata dall’esigenza primaria di ricomprendere nella dinamica parlamentare il maggior numero possibile di forze politiche, proprio per tutelare la rappresentatività. Fatale e fisiologica la scelta di un sistema elettorale di tipo proporzionale, per mediare ed “elaborare” le diverse istanze politiche presenti nel paese ed evitare, nel momento delicatissimo della ricostruzione, che esclusioni dalla rappresentanza politica potessero alimentare antagonismo sociale e spinte eversive. Il resto è storia nota: la degenerazione partitocratica e l’esplosione della spesa pubblica, funzionale a mantenere ben lubrificato un sistema di inclusione e consenso sociale fatto di generose elargizioni pubbliche, sotto la costante minaccia delle suggestioni del modello sovietico, che aveva nel Pci il proprio miglior testimonial nel paese, almeno fino allo “strappo” di Enrico Berlinguer. Dopo la deflagrazione di Tangentopoli, e a riprova che questo paese è del tutto incapace di emendarsi senza la spinta decisiva di un evento traumatico esterno (ciò che a breve accadrà anche per l’economia), un parlamento falcidiato da arresti ed avvisi di garanzia approvò una legge elettorale che appariva un tentativo troppo timido di portare l’Italia dal proporzionale al maggioritario. Il 75 per cento dei seggi assegnati attraverso un turno unico uninominale, ed il restante 25 per cento attraverso il sistema proporzionale, peraltro potenziato dal diabolico marchingegno dello scorporo. Questo sistema elettorale non riesce né a semplificare né a garantire stabilità al sistema. Con la scomparsa dei partiti di massa, nella nuova situazione per vincere nei collegi uninominali è inevitabile che si creino coalizioni ampie ed eterogenee. Invece di ridursi, le liste aumentano, perché anche un partito piccolissimo può disporre di un potere di contrattazione enorme. Nel 1996 nell’86 per cento dei collegi uninominali è bastato il 40 per cento per vincere. Per arrivare subito a quel 40 per cento, sempre secondo il professor Sartori, vengono create delle “coalizioni-cordate”, che non possono garantire alcuna stabilità. Il recupero proporzionale finisce col diventare “un premio di maggioranza per il perdente”.
E veniamo al presente. Dopo la serie di sconfitte nelle consultazioni elettorali degli ultimi tre anni (amministrative, suppletive, europee e regionali), sconfitte a nostro avviso prevalentemente legate al deterioramento della situazione economica, Berlusconi sta affrontando le spinte centrifughe degli alleati, soprattutto dell’Udc, che mai come in questo momento vede la possibilità dell’eventuale liquidazione e liquefazione di Forza Italia come un traguardo a portata di mano. Il travaso di voti moderati da Forza Italia all’Udc potrebbe mettere in moto un movimento di “fluidificazione” dello scenario politico nazionale, e permettere anche ai moderati del centrosinistra (Rutelli in primis, ma anche Mastella) di trarsi d’impaccio da una coalizione ormai dominata dagli estremismi onirici della sinistra radicale, generando un polo post-democristiano senza le stimmate del berlusconismo. La proposta di Berlusconi mira quindi ad abbattere il potere di ricatto del pluripartitismo parlamentarista, che fa parte del dna di questa legge elettorale, conservando la propria egemonia sullo schieramento moderato, e cristallizzando quella che appare come una tendenza di difficile inversione, almeno fino a che la situazione economica non sarà raddrizzata: il declino elettorale di Forza Italia. Se non è possibile cambiare il sistema elettorale, si è detto Berlusconi, cambiamo il sistema partitico. Difficile che l’Udc accetti di congelare una tendenza ad essa apparentemente favorevole, per cogliere la quale il partito di Casini e Follini sarebbe anche disposto a star fermo un giro, all’opposizione, aspettando l’autodistruzione dell’Unione a contatto con l’esperienza di governo.
Che potrebbe fare quindi Berlusconi per dare la spallata definitiva al sistema e traghettare l’Italia verso quel bipartitismo (o bipolarismo reale) che rappresenta il punto di arrivo di una democrazia occidentale matura? Ripercorrere la strada referendaria.
Nell’aprile 1999 un movimento trasversale ai partiti, che aveva alla propria testa i radicali, cercò di abrogare la quota proporzionale con un referendum, ma il quorum non venne raggiunto. Stessa sorte un anno dopo
. Oggi, una simile iniziativa appare difficilmente percorribile, anche per i tempi tecnici richiesti, e l’agenda politica è dominata da una crisi economica la cui portata è stata finora sottovalutata. Ma l’alternativa è l’implosione certa del sistema politico, destinata a materializzarsi anche e soprattutto nell’ipotesi di vittoria alle politiche del prossimo anno della compagnia di giro di Romano Prodi.

Legge elettorale. Capezzone: abolire quota proporzionale.

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