Da qualche tempo si susseguono segnali di una crescente disaffezione tra Sergio Cofferati e larga parte della coalizione che lo eletto sindaco di Bologna. Prima, la sconfessione del premio di produttività ai dipendenti comunali, che lo ha messo in rotta di collisione proprio con la Cgil, poi la fatwa lanciata contro il Cinese dalla sinistra radicale ed antagonista, che gli rimprovera un approccio alla città in purissimo stile law and order. Non sappiamo dove stia la verità, ma saremmo tentati, per una volta, di non cercarla nel mezzo. Vogliamo segnalare il j’accuse di Franco “Bifo” Berardi, pubblicato da Liberazione:
«Se io le dico che Cofferati si candida a essere sindaco di Bologna lei cosa mi risponde?» mi chiese un giornalista quando sollevai la cornetta del telefono, all’incirca due anni fa. E io, con sincero trasporto: «Rispondo che corro a votare Cofferati perché certamente sarà meglio di Guazzaloca». Mi sbagliavo. E’ doloroso dirlo, ma un anno dopo le elezioni comunali che dovevano segnare la riscossa in una città che per molte ragioni è considerata un laboratorio del buon governo e dell’innovazione culturale, sono costretto ad ammetterlo: è difficile immaginare un clima peggiore di quello che si è creato in questa città. Un anno fa, forse un po’ ingenuamente, ci aspettavamo che la nuova giunta avrebbe dato un segno di rinnovamento e di apertura. Ci aspettavamo una maggiore tolleranza verso gli stranieri, e lo stesso Cofferati, durante la campagna elettorale aveva dichiarato che il Comune avrebbe preso una posizione contro la presenza del Cpt sul territorio comunale bolognese.
Quel che abbiamo visto accadere va in direzione opposta: si sono moltiplicati gli sgomberi degli stranieri senza casa. Donne e bambini rom vengono scaraventati fuori dagli edifici abitati, costruiti abusivamente su terreni che in certi casi sono stati regolarmente comprati, come è accaduto in via Roveretolo.
Si sono intensificate le aggressioni contro gli ambulanti senegalesi che vendono le loro povere mercanzie: il pomeriggio del 25 aprile, alle quattro e mezzo, mentre camminavo in Via Indipendenza, ho visto un ragazzo africano finire sotto un taxi (ambulanze che accorrono, sangue sul selciato). Stava fuggendo con il sacco sulla spalla, perché le guardie gli volevano sequestrare un pacchetto di Cd. La folla si accalcava intorno allibita.
Gli unici che plaudono a questa furia legalitaria sono i più egoisti fra i commercianti, che si congratulano con gli sceriffi di Cofferati, e anche i pochi rappresentanti locali della Lega di Bossi che approvano con entusiasmo gli sgomberi brutali di stranieri.
Un anno fa, forse un po’ ingenuamente ci aspettavamo che la nuova giunta avrebbe fatto qualcosa per migliorare la condizione di decine di migliaia di studenti che debbono pagare tre, quattrocento euro per un letto. E invece il sindaco ha stabilito che dopo le nove di sera è vietato uscire in strada con un bicchiere contenente birra. Chi vuole bere deve sganciare quattro euro per sedersi in un locale a la page, e le botteghe dei pakistani che vendono birra al prezzo di un euro adesso rischiano di chiudere, mentre gli studenti poveri che potevano comprare la birra dai pakistani possono anche restare a becco asciutto.
Un anno fa ci aspettavamo che la nuova giunta avrebbe rilanciato la cultura cittadina che da almeno un decennio langue in uno stato di necrosi. Finora non è successo nulla, nonostante la presenza di una persona di valore come Angelo Guglielmi all’assessorato. Ma visto che il degrado sembra essere l’ossessione della Giunta c’è da temere che si prepari una campagna contro l’arte degenerata. Infatti in questi giorni si parla della street parade che da qualche anno è diventato un appuntamento annuale della musica, dell’antiproibizionismo e della libertà. Il sindaco ha detto che questa manifestazione è degradante, e il Comune (che negli anni di Guazzaloca guardava con qualche sospetto alla manifestazione ma non l’ha mai ostacolata), sta valutando la possibilità di non dare il permesso per il suo svolgimento.
Per finire un breve cenno alla sensibilità sindacale di questo sindaco che avevamo tanto aspettato: un mio amico, dipendente comunale, iscritto a un partito della sinistra, mi ha detto recentemente: «nel luglio dell’anno scorso, se ci avessero chiesto di fare venti ore di straordinario, per Cofferati le avremmo fatte gratis. Oggi non le facciamo neanche se ce le pagano». La cosa è comprensibile, visto che il nuovo sindaco ex sindacalista si è spinto fino al punto di negare ai dipendenti comunali il rispetto di un accordo contrattuale in cui si concedeva un’integrazione salariale di quattrocento euro all’anno, firmato dai sindacati con Guazzaloca.
Per concludere questa lista voglio citare l’inquietante persecuzione a cui è stato sottoposto Valerio Monteventi, consigliere indipendente eletto nelle liste di Rifondazione.
Qualche mese fa l’assessore alla casa (ex occupante di case convertito al culto dell’ordine cofferatiano) ha iniziato a far circolare insinuazioni sulla moralità di Monteventi, che in città tutti conoscono bene per il suo impegno quotidiano al servizio dei senza casa e degli emarginati. Quando infine Monteventi ha denunciato la campagna di diffamazione ai suoi danni, e portato le prove della sua inattaccabilità, la campagna si è spenta, i dossier promessi si sono volatilizzati. Ma intanto abbiamo tutti la sensazione che si sia ritornati ai tempi in cui la sinistra eliminava i dissidenti con la delazione e la calunnia, e che il nuovo sindaco non abbia capito niente dello spirito di questa città che, almeno dopo il trauma del 1977, ha imparato a considerare il dialogo e la tolleranza qualcosa cui è pericoloso rinunciare in nome del decisionismo.
Pericoloso, molto pericoloso. E adesso vi spiego perché.
Si è detto in molte occasioni che Bologna può essere un laboratorio, un’anticipazione di quello che accadrà a livello nazionale quando al posto del governo di Mediaset ci sarà il centrosinistra.
Tutti sappiamo che sarà faticoso e doloroso cambiare direzione, dopo cinque anni di governo dei predoni che hanno cartolarizzato buona parte del patrimonio pubblico e devastato l’economia sociale nell’interesse di un gruppo privato. Sappiamo che all’interno del governo di centrosinistra forti saranno le resistenze contro una politica di redistribuzione del reddito. D’altra parte sappiamo che senza un’azione coraggiosa di recupero delle risorse che in questi ultimi anni sono state sottratte alla comunità, nessun cambiamento sarà possibile, a nessun livello. Insomma, il rischio è che, cambiata la coalizione al governo, la situazione continui a precipitare, mentre il conflitto sociale diventa più acuto, l’insoddisfazione si allarga, la situazione si fa tesa.
Nella previsione di uno scenario di questo genere che segnali vengono dal laboratorio Bologna? Il segnale dell’arroganza, della chiusura, del decisionismo unilaterale, della calunnia contro i dissidenti, della repressione contro chi non rispetta l’arcigna legalità dei possidenti e dei benpensanti. Scusate se bestemmio, ma io, se sapevo che a Bologna andava a finire così, preferivo tenermi Guazzaloca.
E allora cerchiamo di capire finché siamo in tempo. Berlusconi & co. hanno depredato la società italiana, hanno messo il bavaglio alla libertà di espressione, hanno portato il paese in una guerra infame. Però ci hanno finora risparmiato (con l’eccezione non irrilevante di Genova e di Bolzaneto) la violenza e il carcere per gli oppositori. A Bologna chi ha la mia età non ha dimenticato il tempo in cui il partito di Cofferati mandò i carri armati contro gli studenti e spinse la magistratura a incarcerare i dissidenti. Perciò la lezione che qualcuno rischia di imparare assistendo a quello che accade a Bologna può essere agghiacciante. Gli potrebbe venire da pensare: quasi quasi mi tengo Berlusconi.
Ci sono alcuni piani di lettura, riguardo questo accorato cahier de doleances. Il primo, è che non è possibile prescindere dalla storia personale del suo autore, che appartiene a pieno titolo a quella prolifica famiglia di “cattivi maestri” che da oltre un trentennio intossica la vita italiana. Ma c’è anche il disincanto della sinistra antagonista di fronte al reality check del governo e dell’amministrazione della cosa pubblica. Perché Berardi enuncia un concetto programmatico della sinistra radicale: governare non è amministrazione dell’esistente, e neppure riformismo “al margine” o incrementale. Governare è trasformazione radicale dell’organizzazione sociale, scardinamento del vecchio schema marxiano dei rapporti di produzione, costruzione della “Città del Sole”. E’ quindi “comprensibile” la frustrazione per ogni forma di governo della cosa pubblica che non rappresenti l’obliterazione dell’esistente. Da qui la pulsione per il caos palingenetico, quello fatto (analizzandolo da un piano di lettura maledettamente borghese) di illegalità diffusa, occupazioni, immigrazione clandestina,commercio abusivo, degrado urbano, insicurezza. Da qui l’insofferenza per le ferree, disumane ed alienanti leggi dell’economia, quelle che impongono delle scelte nella redistribuzione del reddito e nella tutela di un gruppo sociale piuttosto che di un altro. Perché di questo si tratta: l’avversione fisica per ogni forma di costrizione e di vincolo esterno alla creazione dell’Uomo Nuovo. Messa di fronte a quest’aporia, la sinistra radicale sviluppa due risposte stereotipate: il rifugio all’opposizione “integrale” ed il cospirazionismo. Con la prima exit strategy, si pospone la Vittoria Finale sine die, e nel frattempo si lavora per “scatenare le contraddizioni della società borghese e capitalista”. Questa, ad esempio, era da sempre l’opzione preferita di Rifondazione, prima che Bertinotti scoprisse di poter mettere le mani sul timone della propria coalizione. La reazione alla Grande Cospirazione, invece, tende ad individuare un altrettanto Grande Vecchio (gli ebrei, gli americani, i padroni, le forze della conservazione) che lavora nell’ombra per far deragliare il Grande Balzo in Avanti, e soprattutto, tenta di individuare collaborazionisti, quinte colonne e Servi della Reazione, per poterli colpire, spesso non esclusivamente in termini dialettici. In questa fase, temiamo che Sergio Cofferati rappresenti quest’ultima tipologia di target. Cosa accadrà al momento della sempre più probabile vittoria dell’Unione alle politiche del 2006, non è dato sapere. Romano Prodi ieri ha commentato “Non so se vinciamo perché siamo uniti, o se siamo uniti perché vinciamo, però vinciamo“. Un’interessante analisi. Nel frattempo, fa un po’ impressione leggere e sentire simili giudizi su Sergio Cofferati, una sorta di contrappasso dantesco nella città di Marco Biagi.