Sul Bestiario di questa settimana, Giampaolo Pansa invita Piero Fassino a risolvere quattro “misteri” relativi al rapporto tra il vertice diessino e Unipol.
Il primo mistero nasce da una domanda che ci siamo fatti in molti e che ‘Il Riformista’ ha esplicitato meglio di tutti. Nella famosa telefonata del luglio 2005, Fassino ha ascoltato Consorte spiegargli di avere già in mano, insieme ai suoi alleati e grazie a patti segreti, il 51 per cento della Bnl e questo prima dell’Opa. Ma in quella data l’Unipol era autorizzata a detenere soltanto il 19 per cento della banca da conquistare. Dunque, Consorte di fatto confessava al segretario dei Ds di aver violato regole e leggi. Fassino l’ha capito o no? E se non l’ha capito, come mai non si è fatto aiutare da qualche esperto di Opa al servizio del Botteghino? Avrebbe subito sentito puzza di bruciato. E, forse, avrebbe mollato Consorte al proprio destino. Invece ha continuato a fare il tifo per l’Unipol. “In un mondo di furbi, io preferisco essere tifoso che cinico”, ha detto Fassino a ‘Repubblica’. Ma tifare per una scalata ‘alla Consorte’ è stata una forma accentuata di autolesionismo che adesso il capo della Quercia sta pagando.
Appunto. Delle due, l’una: o il segretario dei diesse è profondamente ignorante delle leggi che regolano le acquisizioni di società quotate, oppure si è reso complice dei maneggi di Consorte, probabilmente avallandoli. Abbiamo rilevanti prove che Fassino capisca assai poco di mercato ed economia, il che non è penalmente rilevante, ma in tal caso la Quercia dovrebbe perlomeno compiere una approfondita riflessione circa le modalità di selezione e cooptazione dei propri dirigenti.
Il secondo mistero riguarda Consorte e i suoi alleati, quella che Ernesto Galli della Loggia, sul ‘Corriere della Sera’, ha chiamato ‘la consorteria’. Fassino ne aveva contezza? Sapeva com’era abituato a muoversi il capo dell’Unipol almeno fin dal 2001, quando aveva venduto a Emilio Gnutti le azioni Olivetti a un prezzo inferiore a quello che poteva spuntare? Secondo Massimo Mucchetti, il guadagno ‘mancante’ si aggirava sui 50 milioni di euro, più o meno la somma versata da Gnutti sui conti cifrati di Consorte e Sacchetti. Insomma, attorno a Consorte c’era un giro di compagni di merende al limite, come minimo, del codice penale. Possibile che il leader di un grande partito in marcia verso il governo non ne sapesse nulla? Il Bestiario ritiene che sapesse tutto. Ma che su questo tutto prevalesse l’obiettivo di conquistare una banca.
Appunto. Un caso da manuale di doppiezza togliattiana? O l’ennesima riproposizione dell’ottusità fassiniana? E’ certo molto utile, sul piano politico, vendere la versione di un leader del primo partito italiano che è completamente privo di competenze di diritto dei mercati finanziari. Un po’ come quando, nei processi, gli avvocati difensori tentano la carta dell’infermità mentale per il proprio assistito. In fondo, per il Botteghino questa potrebbe essere la classica tattica di riduzione del danno. Dal versante Unipol, considerato che Consorte è stato ai vertici dell’assicurazione bolognese per una dozzina d’anni, resta l’imbarazzante verità di un’azienda priva di meccanismi di corporate governance, ed evidentemente pure di una funzione di internal auditing che fosse in grado di verificare la regolarità delle transazioni che portavano la firma del proprio legale rappresentante pro-tempore. Per questo motivo, se dovesse essere confermata la distrazione di 50 milioni di euro derivante dalla cessione a Gnutti delle azioni Olivetti a prezzo inferiore a quello di mercato, il nuovo vertice di Unipol dovrebbe immediatamente procedere ad azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori, per il gravissimo danno arrecato agli azionisti Unipol. L’alterazione di valori patrimoniali e reddituali derivanti da transazioni finirebbe con l’essere molto simile alle pratiche che Tanzi e Tonna realizzavano in quel di Collecchio. Quello che è certo è che Fassino dovrebbe evitare di andare in giro dichiarando la propria “amarezza”, o proponendo fantasiose riforme del diritto societario e dei patti di sindacato. La sua crassa ignoranza in materia (giacché siamo garantisti, lo riteniamo non coinvolto, fino a prova contraria, nel giro della ‘consorteria’) non appare un bel biglietto da visita.
Il terzo mistero riguarda il tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti. È il dirigente della Quercia che, in una telefonata, raccomanda a Consorte di non dare a Fassino nessun dettaglio sull’Opa per la Bnl. Curiosa richiesta, della quale Sposetti ha finalmente parlato in pubblico domenica 8 gennaio in un circolo Arci di Prato. Secondo la cronaca dell”Unità’, Sposetti si è lamentato che il colloquio con Consorte sia finito sui giornali. Non doveva avvenire, perché era “una conversazione da privato cittadino con un altro privato cittadino”. Privati cittadini, lui e il capo dell’Unipol? Mi sembra molto riduttivo.
Anche più strabiliante è la spiegazione di quel “non dire niente a Fassino”. Sentite Sposetti: “L’ho fatto perché non avevo condiviso l’intervista rilasciata da Fassino il giorno prima al ‘Sole 24 Ore’. Non nel merito, ma nella scelta del referente”, ossia del giornale. “Credevo che, vista l’importanza dell’operazione finanziaria, non andassero resi noti troppi dettagli”. Alla faccia, aggiunge il Bestiario, della trasparenza sempre obbligata in scalate di quel calibro. Che cosa ne pensa il segretario dei Ds? Mi auguro che tra lui e il tesoriere ci sia stato un chiarimento severo, magari brutale. Ma per noi, popolo bue, resta un altro mistero, da rubricare sotto la voce ‘Vatti a fidare degli amici e compagni’.
Ugo Sposetti “è un santo”, per usare la pregnante definizione di Livia Turco, ed è l’uomo “che ha risanato i conti del partito”, secondo Fassino. A lui sia lode. Ma ci sfiora il dubbio che anch’egli considerasse il proprio segretario politico un po’ troppo naif in materia, e volesse quindi evitare che Piero Forrest Gump Fassino finisse col dichiarare urbi et orbi che i diesse “hanno una banca” . Anzi, cancelliere, metta a verbale: la frase proferita da Fassino era “quindi abbiamo una barca?”, riferita al suo presidente ed alla nobile prassi di contribuire alle casse del partito, da oggi anche per mezzo di conferimenti in natura.
Il quarto mistero è come mai, nel giro di pochi giorni, il presidente dei Ds, Massimo D’Alema, abbia cambiato radicalmente opinione su Consorte e la scalata Unipol alla Bnl. Dalla difesa totale allo sconcerto e, anche lui, all’amarezza. Che cosa è accaduto? Prima o poi lo sapremo, così come conosceremo le telefonate a Consorte di D’Alema e del suo braccio destro Nicola Latorre. Si sa che esistono e dunque è bene che emergano anch’esse. Perché pure in questo caso non si tratta di ‘privati cittadini’, ma di politici di prima fila, tenuti a rendere conto di tutto.
Pare, quindi, che questo radicale revisionismo diessino abbia contagiato anche D’Alema: ora le idee si cambiano in pochi giorni, non più in pochi lustri. Un partito i cui vertici sono diventati improvvisamente afasici, smemorati e amareggiati potrà “ricordarsi”, una volta al governo, di lavorare nell’interesse del paese?
Qualche giorno fa abbiamo letto, su un blog, il tenero commento di un militante progressista. Diceva:
Il controllo maggiore nella sinistra lo fanno in primo luogo militanti e simpatizzanti. Ed i dirigenti lo sanno.
Dopo la “vigilanza democratica” degli anni di piombo, occorre adeguarsi ai tempi. Alle prossime feste de l’Unità, tra una salamella ed una piadina, si terranno anche corsi di revisione e certificazione di bilancio.