“L’Unione di Centro-sinistra ha prodotto 284 pagine (spazio uno!) di programma elettorale. Con esse vuole dimostrare serietà di intenti, una qualità senz’altro apprezzabile in una campagna elettorale in cui il nostro presidente del Consiglio si è paragonato prima a Napoleone e poi a Gesù Cristo, evidentemente corteggiando a turno i voti laici e quelli cattolici.”
“Ma 284 pagine sono inutili e fuorvianti. Sono inutili per almeno quattro motivi. Primo: pochissimi elettori le leggeranno; la prolissità di questo documento è strabiliante e riflette in pieno la verbosità della nostra cultura politica che produce ogni sera tre o quattro interminabili talk-show di 4 o 5 ore l’uno. Secondo: è pieno di luoghi comuni come i frequenti riferimenti al deus ex machina del “Processo di Lisbona”, un altro esempio di vacua ampollosità pianificatoria (questa volta europea) che ben poco ha prodotto, se non voluminosi quanto sterili libri bianchi (e di altri colori). Terzo: parla di tutto (e quasi del contrario di tutto) e non dà alcuna idea delle priorità, né spiega come tutte le proposte di spesa pubblica (ce ne sono tante) siano compatibili con la critica situazione del bilancio. Quarto: anche le buone idee (e ce ne sono non poche) si perdono in un mare di parole, che servono a dare alternativamente un colpo al cerchio della sinistra conservatrice di Bertinotti e un altro alla botte del riformismo innovatore.”
“E’ anche un documento fuorviante perché vorrebbe farci credere che che ci siano 284 pagine di temi e proposte su cui Bertinotti e Prodi, per non parlare dei veri liberisti come Franco Debenedetti, sarebbero d’accordo. E’ infatti per cercare di far piacere a tante e così diverse persone che si trovano tanti argomenti in questo ponderoso programma. Da qualche misura liberista a populismi triti e ritriti, come l’aumento della progressività delle aliquote per i redditi più alti, che aumenterebbe di pochissimo il gettito fiscale, incoraggerebbe sicuramente l’evasione e l’elusione dei veri ricchi e creerebbe forti distorsioni all’offerta di lavoro, incentivando la “fuga” all’estero del personale più qualificato. Dopo una ripetuta insistenza sul ruolo della ricerca, per potenziarla viene messo in testa ai progetti di intervento l’incremento del finanziamento pubblico. Dovrebbe essere ormai chiaro che il difetto della nostra università, e della scuola più in generale, non è la mancanza di fondi pubblici ma l’impossibilità di creare gli incentivi corretti, licenziando insegnanti, ricercatori e professori incapaci (o almeno pagandoli molto meno dei loro colleghi più produttivi) e spostando l’onere del finanziamento dei costi universitari dai contibuenti agli utenti.”
“Ma allora perché il centrosinistra ha prodotto un documento simile? E’ facile trovare spiegazioni “ciniche”: in 284 pagine ci sarà pur qualcosa che la sinistra riuscirà a realizzare in cinque anni, se vincerà le elezioni. Ecco allora che potrà vantare i successi di aver conseguito quello che prometteva a pagina 97, 152 o 223.
Ma c’è un’altra ragione profonda. E’ insita nella cultura della sinistra europea, sia laica che cattolica, la convinzione che lo Stato debba intervenire molto per far ben funzionare l’economia e la società. In questo, purtroppo, la sinistra italiana non si differenzia dalla destra, la quale è in gran parte altrettanto se non più statalista.”
“Ecco invece ciò che il Centro-sinistra avrebbe dovuto avrebbe dovuto scrivere nella parte economica del programma, in sei paginette chiare e prive di circonlocuzioni. Tre proposte da attuare subito: liberalizzare tutti i mercati dei beni e servizi, comprese le professioni, mettendo finalmente al centro dell’attenzione e dell’azione gli interessi dei consumatori, come da tempo sostiene Mario Monti; eliminare completamente i divieti e i costi di licenziamento, introducendo sussidi alla disoccupazione anche generosi, ma legati alla attiva ricerca di un posto di lavoro, con un’applicazione inflessibile delle regole sia per chi viola le norme anticoncorrenziali sia per chi un lavoro non lo accetta o non lo cerca; ridurre drasticamente i costi amministrativi e burocratici per le imprese.”
“Certo, con queste sei paginette il Centro-sinistra magari avrebbe perso Bertinotti, ma avrebbe guadagnato voti di centro, con Grande beneficio sia per l’Unione sia per il Paese. Se l’Unione vincerà le elezioni con i voti decisivi di Bertinotti, delle ricette contenute nelle 284 pagine vedremo applicate solo quelle peggiori.”
Poco da aggiungere ad una simile, esemplare analisi. Se non che la sinistra italiana, con questo libro dei sogni di cui ogni suo rappresentante brandisce orgogliosamente una copia nelle occasioni pubbliche, sta tentando di quadrare il cerchio dei propri tratti distintivi. Il pedagogismo moralmente ed antropologicamente superiore, che si coglie già da quel titolo: “Per il bene dell’Italia”; il tentativo di legittimarsi agli occhi del mainstream bancarottiere della Vecchia Europa invocando vuoti ritualismi tecnocratici (quale l’ormai defunta agenda di Lisbona); il mercanteggiamento sfibrante tra riformisti ed anticapitalisti. Che è poi ciò che differenzia Prodi da Gerhard Schroeder: l’ex cancelliere tedesco ha pregiudizialmente escluso dai negoziati di coalizione il Linkspartei di Lafontaine e Gysi pur sapendo che, se avesse realizzato un programma di 284 pagine fatto di liberismo e statalismo neocollettivista, avrebbe avuto discrete chances di vittoria su Angela Merkel. Chances puramente aritmetiche, of course, ma che in Italia sono funzionali alla vera o presunta immaturità di un elettorato che si vorrebbe sempre in cerca di un Campo dei Miracoli in cui sotterrare i propri zecchini. Una Unione-Zelig, ultrakeynesiana a Roma, fedele custode del rigore di Maastricht in quel di Bruxelles. Un suggerimento a Berlusconi per i prossimi due mesi: faccia scrivere i punti programmatici della CdL ad Alemanno. Solo così, per riflesso pavloviano, potremo avere un’Unione autenticamente liberista.