Enrico Letta ha aperto un blog? Abbiamo robusti dubbi al riguardo. O meglio, diciamo che Enrico Letta ha aperto un sito personale, dove tenta di compiere una sua personalissima “operazione verità” sulla politica fiscale del futuribile governo unionista. Si tratta, quindi, di una sorta di “one-issue personal site”, con tutti gli elevati rischi di mortalità infantile che contraddistinguono simili iniziative. Preliminarmente, ci corre l’obbligo di fare i complimenti a Letta per aver scelto Wordpress come piattaforma di blogging. Analizziamo allora i contenuti dei post, partendo dal più recente, che proclama stentoreo:
(…) 400 euro in più a fine anno per il singolo lavoratore e altrettanti per l’impresa. Questo il risultato che si otterrà dal taglio del 5% del costo del lavoro proposto dall’Unione, che da solo vale più di tutte le millantate riduzioni fiscali di Berlusconi. Vantaggi immediati per i lavoratori in busta paga e per le imprese, che vedranno sensibilmente ridotti i costi a carico del datore di lavoro. Uno strumento concreto per combattere l’attuale precarietà del mondo del lavoro.
Letta non specifica come è giunto alla cifra di 400 euro in più al mese per il lavoratore ed altrettanti per l’impresa. Nel mini-post, che dimostra che Letta è dotato del dono della sintesi o, equivalentemente, che è privo di quello dell’analisi, si preferisce puntare tutto sull’importo che finirebbe nelle tasche dei lavoratori, ma nulla si dice circa il fatto che, nel caso in cui la decontribuzione fosse estesa all’intera platea dei lavoratori subordinati, costerebbe attorno a 10 miliardi di euro, quasi un punto di Pil. Né si dice alcunché riguardo al fatto che, come scriveva tempo addietro il professor Tito Boeri su LaVoce.info,
(…) se una parte consistente del finanziamento della pensione dovesse passare alla fiscalità generale, si spezzerebbe il legame contributi-pensioni, quel meccanismo “assicurativo” che stava lentamente entrando nelle mentalità dei lavoratori italiani, responsabilizzandoli rispetto alle loro pensioni future e facendo loro percepire i contributi previdenziali non come una tassa, ma come un accantonamento per la vecchiaia.
Il professor Boeri, inoltre, proprio sulla base della considerazione dell’elevata onerosità che un taglio “universale” del cuneo fiscale implicherebbe, oltre che preoccupato di vedere definitivamente spezzato il legame contributi-pensioni così faticosamente ed incompiutamente introdotto nella previdenza italiana, suggerisce di limitare il taglio contributivo solo su quei lavoratori che, percependo salari molto bassi, sono a forte rischio di ricadere nella platea dei beneficiari delle sole pensioni minime, cioè quelle che ricadrebbero in misura prevalente a carico della fiscalità generale. Che pensa Letta di queste considerazioni? Forse, anziché sbandierare cifre, servirebbe maggiore sforzo di comprensione del sistema previdenziale del nostro paese.
In altro post, Letta afferma:
L’armonizzazione dell’aliquota sulle rendite finanziarie verrà applicata solo agli interessi, non al capitale (bontà sua, onorevole, ndPhastidio). A titolo di esempio, per avere un ordine di grandezza, su un migliaio di euro investiti in titoli del debito pubblico, la differenza oscillerebbe tra circa 50 centesimi di euro e circa 3 euro, a seconda dello strumento e della durata dell’investimento. Facciamo chiarezza su queste cifre, e smascheriamo il catastrofismo di queste ore.
Simpatico esempio, simile a quelli dei televenditori che vi promettono la luna “in comode rate mensili da 50 euro”, omettendo tuttavia di specificare il numero di rate. A Letta suggeriamo un’altra linea argomentativa. Il Bot a 6 mesi collocato nell’ultima asta del Tesoro (fine marzo) rende il 2.8 per cento lordo annuo semplice. Sommate le commissioni d’intermediazione bancaria, pari in media allo 0.2 per cento, otteniamo un rendimento al lordo delle tasse di circa il 2.4 per cento. Al quale dobbiamo detrarre la cedolare secca, che dovrebbe salire al 20 per cento. Il rendimento netto annuo si colloca così intorno all’1.9 per cento (ad essere ottimisti). L’indice dei prezzi al consumo è attualmente pari al 2.1 per cento su base annua. Quindi, il rendimento reale dell’investimento è negativo. Cioè, il capitale investito perde potere d’acquisto, su base annua, per circa lo 0.2 per cento. Il capitale è eroso, onorevole Letta. E quando ciò accade per deliberata scelta fiscale di un esecutivo, noi tenderemmo a definire l’operazione come un’imposta patrimoniale.
Riguardo i depositi bancari, Letta ricorre al solito espediente dialettico del noto economista Fassino:
L’armonizzazione dell’aliquota sugli interessi delle rendite finanziarie sarà associata alla diminuzione delle tasse sui depositi bancari dal 27 al 20%. L’una compensa perfettamente l’altra. Il risultato: un gioco complessivo a somma zero. A guadagnarci, le famiglie più povere: una famiglia con un reddito imponibile di 20 mila euro risparmierà 20 euro, a fronte di un aggravio di 20 euro annui per un nucleo familiare con un imponibile pari a 60.000 euro.
Ma da dove escono questi numeri, onorevole Letta? Come calcola i 20 euro di aggravio/risparmio per famiglie con reddito annuo di 20.000 piuttosto che di 60.000 euro? Su quali importi investiti? Nessuno l’ha finora informata che i depositi bancari hanno rendimenti prossimi allo zero, e tagliare di sette punti percentuali le tasse su zero non ci aiuterà ad “organizzare la nostra felicità”? Il “gioco complessivo a somma zero” è relativo solo all’entità della variazione delle aliquote. Ma tale variazione viene applicata su stock di attivi finanziari assai diversi: i depositi sui conti correnti bancari e postali delle famiglie italiane ammontano (dati fine 2004) a 750 miliardi di euro su un totale di oltre 3100 miliardi di euro di attività finanziarie delle famiglie stesse, cioè meno del 25%. Un minimo di rispetto per l’intelligenza degli elettori non guasterebbe, onorevole Letta.
Dulcis in fundo, l’imposta patrimoniale:
Il ripristino della tassa di successione che proponiamo colpirà esclusivamente le grandi fortune, come nella maggior parte del mondo. Un provvedimento che si applicherà a pochissimi soggetti, 2 o 3 mila persone in tutto il Paese. Berlusconi e gli altri miliardari sarebbero in condizione di firmare l’appello che Bill Gates, Rockfeller, Soros e altri miliardari americani rivolsero, inascolati, a Bush, in favore del mantenimento della tassa di successione per i grandi ricchi americani (il 2 per cento dei contribuenti). Quello è il nostro sogno e il nostro modello.
Ottimo. Ma Bertinotti non parlava di franchigia intorno a 350.000 euro, cioè al controvalore di un appartamento di medie dimensioni in una grande città italiana? E se vogliamo colpire solo 2-3000 persone, talmente grette ed avide da non aver voluto seguire le orme della grande tradizione filantropica statunitense (dove tuttavia gli endowment funds attribuiti alle fondazioni sono fiscalmente agevolati, quindi i miliardari in dollari riescono a fare tax planning anche sull’imposta di successione), siamo certi che il gettito non sarà esclusivamente simbolico, cioè funzionale all’abituale spirito di rivalsa ideologica della sinistra antagonista verso i “nemici di classe”? A noi pare che l’effetto pratico della reintroduzione dell’imposta di successione sarà soprattutto quello di abbattere la mortalità dei ricchi e ricchissimi, ergo di ridurre drasticamente il patrimonio dei medesimi, attraverso il ricorso a fiduciarie e ad altre costruzioni di elusione ed evasione fiscale.
Spiace dover constatare che, ad una settimana dalle elezioni, anche una delle migliori teste pensanti dell’Unione sia caduta vittima del furore demagogico che caratterizza questa surreale fase della vita politica italiana.