Percorso obbligato

Mario Draghi Durante l’audizione sul Dpef davanti alle commissioni riunite Camera e Senato, il governatore della Banca d’italia, Mario Draghi, ha tracciato alcune direttrici di politica economica a cui il governo dovrebbe ispirarsi per dare contenuto alla cornice teorica del documento di programmazione presentato nei giorni scorsi. In dettaglio, Draghi chiede al governo la prosecuzione del processo di liberalizzazione, ed al contempo un recupero di efficienza ed efficacia dell’azione della pubblica amministrazione, ponendo fine agli sprechi che la caratterizzano. Ma la portata delle indicazioni strategiche è molto ampia, e finisce col toccare direttamente il nucleo del programma economico dell’Unione. Le misure – ricorda Draghi – sarebbero finalizzate in primo luogo a correggere inefficienze, squilibri e arretratezza degli apparati di spesa. Risparmi, sottolinea Draghi, che andrebbero comunque perseguiti, indipendentemente dalle esigenze di risanamento, in quanto l’efficienza consente di migliorare le prestazioni senza ridurne i livelli. E’ vero che la lotta ad evasione ed elusione è fondamentale, ma per il governatore (ed anche per noi) i risparmi dovrebbero essere destinati soprattutto alla riduzione delle aliquote fiscali, per avviare il circolo virtuoso di maggiore attività economica che genera maggiore gettito fiscale, che a sua volta consente di ridurre le aliquote nominali. Draghi ricorda l’effetto distorsivo della tassazione su decisioni e comportamenti di famiglie ed imprese, ma non dimentica che anche sussidi ed agevolazioni sono l’altra faccia della medaglia delle inefficienze allocative. In Italia i sussidi alle imprese sono pari a ben il 2.5 per cento del prodotto interno lordo. Il loro azzeramento potrebbe essere compensato dalla riduzione della tassazione ordinaria, quale quella rappresentata dall’Irap, senza dimenticare che i sussidi consentono l’azione di lobbying dei gruppi d’interesse sul parlamento, causa di complicazione legislativa ed inefficienze allocative.

Sul fronte delle pensioni Draghi ritiene che solo un significativo aumento dell’età media di pensionamento può rendere sostenibile il sistema previdenziale e garantire pensioni adeguate. La previdenza complementare ha ancora un ruolo residuale, mentre sarebbe necessario informare i lavoratori sulle prestazioni future, garantendo in futuro un reddito rilevante a cittadini anziani. Senza profonde correzioni della dinamica della spesa previdenziale occorrerebbe inasprire il taglio di spesa, finendo col danneggiare anche gli interventi di welfare, perché appare difficilmente ipotizzabile sfidare la tendenza globale alla riduzione della pressione fiscale. Suggerimento destinato inevitabilmente a scontrarsi con i veti sindacali e della sinistra radicale, così come le misure suggerite per sanità e pubblico impiego. Per quanto concerne la sanità, occorre rafforzare il legame tra le responsabilità di spesa e quelle di copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’erogazione delle prestazioni. Importante, ma ancora di difficile attuazione, il monitoraggio della spesa. Per il pubblico impiego il Dpef punta sulla valorizzazione delle risorse umane, della mobilità, della riorganizzazione dei processi produttivi, ma indica la strada della riduzione dell’occupazione.

Amministrazioni regionali e locali, inoltre, devono introdurre regole di bilancio riferite a un concetto di saldo e non a particolari aggregati di spesa. «Le nuove regole – dice Draghi – potrebbero fondarsi sul principio del pareggio del bilancio di ciascun ente al netto degli investimenti». Questo suggerimento rappresenta il nucleo della revisione del patto di stabilità interno tra stato e regioni: pareggio di bilancio corrente, deficit consentiti (e finanziati) solo per gli investimenti in conto capitale, opportunamente valutati e programmati, anche con metodi mutuati dal mondo delle imprese private, attraverso un cambio radicale della cultura della pubblica amministrazione. Appare evidente che tutte queste misure necessitano preliminarmente della ridefinizione dei meccanismi di federalismo fiscale, che dovrebbe pertanto essere in cima all’azione del governo quale architrave delle riforme di sistema. Riusciranno i nostri eroi dove hanno fallito tutti i precedenti esecutivi, cioè nella lotta all’irresponsabilità fiscale degli enti locali? Lecito dubitarne, perché il concetto di equità espresso da Draghi, e dal buon senso, è antitetico a quello di matrice sindacale, che punta solo sul mantenimento di livelli di spesa improduttiva e sull’inasprimento fiscale. Basti per tutti la reiterazione ossessiva del mantra sindacale secondo il quale non sarebbero necessari interventi sulle pensioni, perché “basterebbe separare previdenza e assistenza”. Ci si dimentica che nell’assistenza figurano interventi quali la cassa integrazione, che per il contenimento del deficit Inps dovrebbero quindi essere posti a carico della fiscalità generale, zavorrando ulteriormente la competitività del sistema economico e vanificando l’intervento di alleggerimento del cuneo fiscale, cui peraltro Draghi (giustamente) non attribuisce quel potere salvifico che invece l’Unione ribadisce ad ogni pié sospinto. La coperta è troppo corta, il paese vive da anni una crisi fiscale indotta dalla crisi strutturale del nostro modello economico, dopo l’entrata nell’Euro e l’ingresso della Cina nella WTO. Il mondo gioca la partita della globalizzazione sul terreno della competizione fiscale, gli unici a non essersene ancora accorti risiedono nella Vecchia Europa. Forse ha ragione Tremonti, il governo è destinato a cadere sulla politica economica, quando alla cornice del Dpef occorrerà affiancare le pennellate della legge finanziaria. Ma senza una forte discontinuità nella cultura di governo temiamo che l’ipotesi della Grosse Koalition all’italiana produrrebbe solo il colpo di grazia al bilancio pubblico.

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