Sotto protezione

Sulla vicenda Telecom Italia, riteniamo utile qualche confronto sui conti rispetto ai principali competitor europei dell’azienda italiana. Analizzando alcuni quozienti di bilancio, emerge immediatamente come Telecom Italia appaia in affanno. Il free cashflow per azione di Telecom Italia degli ultimi dodici mesi è pari solo a 0.36 euro, contro i 2.87 euro di France Telecom e gli 1.83 euro di Deutsche Telekom. Allo stesso modo, la cash dividend coverage, cioè il rapporto tra reddito prima delle poste straordinarie (al netto delle quote di spettanza degli azionisti di minoranza e dei dividendi privilegiati e di risparmio) ed i dividendi ordinari erogati per contanti, un indicatore di quanto la gestione caratteristica aziendale riesca a coprire il pagamento di dividendi, è pari a 1 per TI, contro il 4.10 degli spagnoli di Telefonica, 2.19 di France Telecom, 1.86 di Deutsche Telekom, 1.56 di British Telecom. L’azienda italiana risulta anche il player telefonico europeo con il dividend payout più generoso, tra le grandi: ben il 100.15 per cento dell’utile netto risulta distribuito sotto forma di dividendi. I britannici di BT pagano il 64 per cento dell’utile netto, i tedeschi di DT il 53.7 per cento, i francesi di FT solo il 45.6 per cento. Si evince, da questo imponente payout, l’esigenza di corrispondere risorse alla controllante ed indebitatissima Olimpia.

Da qualunque angolo la si guardi, la struttura finanziaria di Telecom Italia appare squilibrata dal peso del debito. Anche il quoziente tra debito totale e attivo totale conferma questa situazione: per Telecom il quoziente è al 54 per cento, contro il 40 per cento di BT, il 39 per cento di FT, il 36 per cento di DT. Quindi, malgrado un ambiente di regolamentazione domestica non particolarmente severo, Telecom Italia ha visto una progressiva erosione di redditività, causata soprattutto dall’accumulo di debito. Alla radice del problema, come già segnalato, vi è la struttura societaria a leva, causata dall’insufficienza di mezzi propri dell’azionista di controllo. Situazione che perpetua le difficoltà già affrontate anni addietro dal duo Colaninno-Gnutti. Telecom Italia presenta una redditività sul capitale investito, rappresentata dall’indice ROA (return on assets) inferiore a quella dei concorrenti: il 3.74 per cento nel 2005, contro il 4.41 per cento di DT, il 5.55 per cento di France Telecom, il 5.92 per cento di BT. Non sorprendentemente, da inizio anno Telecom Italia ha tuttavia evidenziato una performance borsistica migliore, relativamente ad un settore attualmente sfavorito dagli investitori a causa della costante perdita di redditività: 100 euro investiti in Telecom Italia il 2 gennaio scorso sono diventati il primo settembre 87.7, contro gli 80.7 di DT, ed i 78.12 di FT. Ciò è stato possibile grazie alla maggiore leva finanziaria degli italiani, che tende ad amplificare variazioni positive e negative nella redditività dei mezzi propri. Oggi, Telecom Italia appare un’azienda con buona redditività operativa ma con un peso del debito che la rende molto più speculativa sui mercati ed esposta negativamente ad incrementi dei tassi di mercato ed a peggioramenti nelle condizioni di accesso al credito.

Anche alla luce di queste considerazioni, come spiegare gli avvenimenti di questi giorni? Proviamo ad avanzare una nostra ricostruzione ed interpretazione:
Tronchetti Provera e Prodi si incontrano a inizio settembre in quel di Cernobbio, al tradizionale struscio annuale del workshop Ambrosetti. Tronchetti segnala a Prodi la propria volontà di procedere ad una profonda ristrutturazione societaria, per riequilibrare la struttura finanziaria di gruppo e non fare implodere Olimpia sotto il peso dei debiti, anche alla luce del fatto che la fusione tra Sanpaolo e Banca Intesa determinerà una più che probabile riduzione degli affidamenti al gruppo Telecom. Prodi ipotizza la soluzione della nazionalizzazione della rete fissa da parte della Cassa Depositi e Prestiti (qui, ad opera di Francesco Giavazzi, una eccellente ricostruzione dell’involuzione e dello snaturamento recente di quell’organismo). Una soluzione, giova ricordarlo, che viene vista con particolare favore ideologico da parte della sinistra radicale, e che Prodi potrebbe utilizzare come moneta di scambio in vista della Finanziaria e delle difficili scelte che essa comporterà. Così, pochi giorni dopo l’incontro di Cernobbio, sulla scrivania di Tronchetti arriva il piano elaborato da Angelo Rovati. Il percorso si fa improvvisamente accidentato: Tronchetti Provera si fa dubbioso, teme forse la perdita di indipendenza e le reazioni politiche (e confindustriali) a quello che appare un commissariamento governativo di Telecom Italia, e decide quindi di procedere ad elaborare un piano alternativo, che prevede la societarizzazione di Tim, a soli due anni dalla sua incorporazione in Telecom Italia. Un nuovo allungamento della catena di controllo, quindi, che rischia di essere fatale ad Olimpia. Ma un allungamento che potrebbe in realtà essere propedeutico alla cessione di Tim o al suo parziale ricollocamento in borsa, ipotesi che fornirebbero a Tronchetti le risorse per abbattere il debito di gruppo anche se, soprattutto nel primo caso, lascerebbero Telecom Italia ancor più vulnerabile, data la costante erosione di redditività che la telefonia fissa sta subendo da tempo in Europa. Né sembra convincente, per risollevare i conti di Telecom, l’ipotesi di creare un’alleanza con Rupert Murdoch o con altri per creare una media company. Nel frattempo, si scatena l’ira di Prodi. Convinto assertore del modello dirigista francese, in ciò facilitato dalla ricattabilità di gruppi industriali italiani fortemente indebitati, il Professore lancia minacciosi segnali di fumo all’indirizzo di Tronchetti Provera, che decide alla fine di farsi da parte, nominando presidente del gruppo l’ubiquo ed ormai onnipotente Guido Rossi pur mantenendo, con la vicepresidenza esecutiva di Carlo Buora, il controllo operativo del gruppo. In tal modo, il patron di Pirelli spera di poter riproporre inalterato il proprio piano finanziario senza incorrere negli strali di Palazzo Chigi. Rovati rappresenta quindi la vittima sacrificale nella partita tra Prodi e Tronchetti: il Professore ha dovuto liberarsene dopo la ribellione di Tronchetti, che ha sparigliato le carte e di fatto ha azzerato la situazione. Certo, sulla carta Prodi è molto più forte sul piano negoziale, potendo peraltro contare sulla sponda giudiziaria in relazione ai numerosi fascicoli aperti nei confronti di uomini Telecom nella recente vicenda delle intercettazioni telefoniche. Tronchetti Provera si è quindi difeso come ha potuto dal tentativo della merchant bank di Palazzo Chigi di porlo sotto protezione: ha inferto un ennesimo, durissimo colpo alla credibilità internazionale dell’Italia. Ecco perché la scelta di Guido Rossi rappresenta, come scrive Orazio Carabini sul Sole-24Ore, una triplice garanzia:

“Conosce l’azienda perché ne è stato il presidente ai tempi della privatizzazione. È ben voluto dal centrosinistra: non solo è stato parlamentare della sinistra indipendente ma il mondo che frequenta è decisamente orientato su quel versante del fronte politico. Infine sa come comportarsi con le procure, soprattutto quella di Milano, dove sono aperti numerosi fascicoli a carico di uomini di Telecom Italia. In particolare per le vicende relative alle intercettazioni telefoniche guidate dall’ex responsabile della sicurezza Giuliano Tavaroli.”

Ora Prodi deve uscire dall’angolo, e possiamo attenderci alcune significative turbolenze, data la sua genetica incapacità ad evitare di essere colto con le mani nel vasetto della marmellata. Dopo aver liquidato con una della sue espressioni preferite (“Ma siamo matti?”) la sacrosanta richiesta di recarsi in parlamento a spiegare la sua versione dei fatti, ora il Professore tenta la retromarcia, concedendo un'”informativa urgente”, anche se a cura di non meglio specificati “ministri competenti” sulla materia. Appare peraltro singolare che lo stesso attivismo politico non si sia verificato quando Enel (che ha nel Tesoro il proprio azionista di controllo) ha di fatto nazionalizzato Infostrada e Wind, né successivamente, al momento della cessione del gruppo agli egiziani di Sawiris.

L’intera vicenda ripropone la debolezza strutturale del capitalismo italiano: debole, indebitato, per ciò stesso sottoposto a costante ricatto da parte della politica, ma proprio per questo motivo capace di difendersi denudando impietosamente il re. Ciò che atterrisce è l’incapacità di cogliere dall’interno la profonda involuzione italiana, che appare invece in tutta la sua gravità ove la si osservi da un contesto estero.

Ci resta la consolazione che i watchdogs della nostra libera stampa, i Floris, i Santoro, le Gabanelli, i Mannoni sapranno illuminarci su questa oscura vicenda con il loro coraggioso giornalismo di denuncia e la loro schiena dritta.

Open Roundup: Benedetto Della Vedova, Fausto Carioti, Carlo Stagnaro, Mario Sechi

I dati finanziari del post sono frutto di nostre elaborazioni sul database di Bloomberg Professional System.

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