I nodi al pettine

Durante un’audizione alla Camera, il ministro dell’Economia Padoa Schioppa ha detto che obiettivo del governo, riguardo Alitalia, “è una buona privatizzazione: collocarla in mani capaci. Compriamo un piano industriale, più che vendere una compagnia aerea“. Il ministro ha poi di fatto confermato i boatos di mercato delle ultime settimane, che parlano di offerte indicative, da parte delle tre cordate rimaste in gara, ben inferiori a 40 centesimi per azione, meno della metà rispetto al prezzo corrente di borsa:

“Guardiamo con attenzione alle risorse che verranno investite e non solo al prezzo pagato”. Il prezzo, ha detto, non deve prevalere “su altri criteri che nel tempo possono contare di più”.

Si tratta della scoperta dell’acqua calda, essendo risaputo dall’inizio della gara che l’unica cosa privatizzabile di Alitalia è l’enorme badwill, cioè l’avviamento negativo, come da noi già segnalato.

Oggi, nelle more di una gara caratterizzata da trasparenza formale e opacità sostanziale, anche TPS ha preso atto che Alitalia va venduta a fortissimo sconto tentando, nella migliore delle ipotesi, di affermare l’ovvio, invitando l’acquirente ad investire nell’azienda. Che altro dovrebbe fare l’acquirente di una società dissestata? Tra gli “investimenti” che il compratore dovrà assumere, potrebbe esserci anche quello della ricapitalizzazione per reintegrare ai sensi del codice civile il capitale sociale eroso dalle perdite. Il mercato ed i soggetti interessati stanno attendendo con ansia la data del 23 maggio, quando il consiglio di amministrazione potrebbe prendere atto della necessità ormai indifferibile di svalutare il valore della flotta in misura tale da produrre perdite che superino di un terzo il capitale sociale. Il numero magico è a 432 milioni di euro di perdite: restate sintonizzati, anche se il consolidamento di Volare nei conti Alitalia potrebbe aver opportunamente evitato (immaginiamo di stretta misura) tale infausto evento.

Poco alla volta, quindi, il mercato sta facendo giustizia di tutti gli equilibrismi parolai del governo, trasformando il famoso “bando di vendita” in quello che realmente è: una liquidazione. C’è solo da sperare che il governo sia effettivamente terzo rispetto alle cordate in gara, e non si faccia venire strane idee di italianità. Infatti, come segnalato da Francesco Giavazzi, se Air One dovesse vincere, si troverebbe titolare del 90 per cento della rotta italiana più ricca, la Milano Linate-Roma Fiumicino: non esattamente un modello di liberalizzazione. In tal caso, dal prezzo di vendita dovrebbe essere scontato l’intervento dell’Antitrust. Certo, se il prezzo di vendita non è priorità del governo…

Nel frattempo, il Senato ha approvato in via definitiva (con 148 voti a favore, 42 contrari, 56 astenuti) il decreto-legge che assegna 3 miliardi di euro per ripianare il deficit sanitario di Lazio, Campania, Sicilia, Abruzzo, Molise. Con questa elargizione il governo promette solennemente di “accompagnare” queste regioni al pareggio di bilancio sanitario entro il 2010. Singolare il commento di Livia Turco:

“E’ un decreto di portata storica, perché ha l’obiettivo di aiutare le regioni fortemente indebitate, non per colpa loro, ad azzerare i debiti entro il 2010″.

Mentre attendiamo di capire chi abbia prodotto questo debito sanitario, visto che le regioni coinvolte non hanno colpa, segnaliamo il fatto che l’elargizione governativa ha avuto parere contrario della Commissione Bilancio, la quale si è però ben guardata dal porre il veto dell’articolo 81 della Costituzione, visto il peso elettorale delle regioni coinvolte, una variabile del tutto bipartisan. Nel frattempo, possiamo consolarci col fatto che, nell’imminenza della tornata amministrativa del 27 maggio, il governo ha deciso di cancellare il ticket di 10 euro sulle prestazioni specialistiche ambulatoriali, dal medesimo governo introdotto 139 giorni fa. Perché noi siamo seri, s’intende.

A ben vedere, anche questi “condoni” sono parte integrante dei costi della politica, che il governo vuole contenere. A parole. E suscita tenerezza vedere Lamberto Dini, un tempo severo guardiano dell’ortodossia del bilancio pubblico, votare a favore di simili provvedimenti. Immaginiamo che, da sedicente liberale, egli si senta a proprio agio in questa coalizione, come la famosa particella di sodio nell’acqua Lete.

Nel frattempo i nostri liberalizzatori, quelli che vogliono porre il consumatore al centro della galassia, si preparano a presentare il ddl sulla riforma dei servizi pubblici locali. Il quale ddl, dopo aver già escluso da competizione i servizi idrici (regalando in prospettiva tanti piccoli Acquedotti Pugliesi al paese che già oggi ha tassi medi di dispersione dell’acqua intorno al 40 per cento, con punte del 70 per cento), ora ha pure reintrodotto la ottocentesca figura giuridica delle aziende pubbliche speciali, oltre (in via del tutto teorica, o meglio ideologica) alla possibilità di erogazione dei servizi di pubblica utilità “in economia” da parte dei comuni, cioè direttamente con proprio personale. Il consumatore è sovrano, ma i partiti lo sono di più.

Se qualcuno pensava che l’azione di governo fosse improntata a genuino interesse per le sorti del consumatore, può sempre consolarsi guardando Ballarò, oppure andare dal barbiere il lunedì mattina.

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