E’ passato pressoché sotto silenzio l’ultimo capitolo delle avventure giudiziarie di Unipol, in cui si narra del sequestro, ad opera del Nucleo valutario della Guardia di Finanza, di 55 milioni di euro tra titoli, quote societarie e partecipazioni immobiliari. Tale tesoretto è stato requisito a Vittorio Casale, immobiliarista molto vicino a Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, già ai vertici di Unipol.
Il sequestro è stato disposto dalla Procura di Roma, e verte sulla cessione di 133 immobili non strumentali di proprietà di Unipol, avvenuta a fine 2004, ad una società partecipata dal fondo Glenbrook e dalla società di Casale, Operae. A riprova di quanto alcuni abbiano il pallino degli affari, pochi mesi dopo le due società rivendettero gli immobili a Pirelli Real Estate e Morgan Stanley Real Estate, ottenendo una plusvalenza di 55 milioni di euro. Secondo gli inquirenti, 3 dei 133 immobili Unipol destinati a cessione restarono fuori dall’operazione consentendo, in seguito ad un complesso gioco di compravendite, la generazione di una plusvalenza di 9.5 milioni di euro a beneficio di Consorte e Sacchetti, oggetto di sequestro giudiziario lo scorso gennaio (confermato lo scorso 19 aprile dal tribunale del Riesame). Secondo la Procura di Roma, Casale sarebbe stato il regista dell’operazione di compravendita di questi immobili, per compensare Consorte e Sacchetti di aver ceduto immobili a prezzi inferiori a quelli di mercato, procurando un danno patrimoniale a Unipol che, a distanza di oltre un anno, ha deciso di presentare querela.
Ma questa non è la sola vicenda oscura, nella saga Unipol e nelle tecniche gestionali del “dinamico duo” Consorte-Sacchetti. Come forse ricorderete, i due sono già stati condannati in primo grado (assieme ad Emilio Gnutti) per il reato di insider trading per lo strano caso del rimborso anticipato delle obbligazioni Unipol 2000-2005 al tasso del 2,25 per cento e di quelle, di pari scadenza, con cedola nominale del 3,75 per cento. Il caso venne sollevato dal professor Beppe Scienza dell’Università di Torino, che si insospettì per le modalità di un rimborso del tutto irrazionale, visti i tassi di mercato dell’epoca. Se Unipol avesse utilizzato i 318 miliardi di lire destinati al rimborso anticipato delle proprie obbligazioni per acquistare Btp di pari scadenza, la differenza tra i due tassi avrebbe prodotto un utile di 27 miliardi di lire, 14 milioni di euro. Ergo, quella operazione ha prodotto un danno a Unipol.
Abbiamo più volte segnalato le anomalie di queste operazioni, ma soprattutto un’anomalia ancora più grande: perché Unipol, finora, è stata silente sulle operazioni dei propri due ex manager, e non ha mai ritenuto di avviare un’azione di responsabilità contro Consorte e Sacchetti, anche per tutelare i propri azionisti dal danno patrimoniale che le operazioni dei due avevano causato? Solo di recente, a distanza di oltre due anni dall’accaduto, l’assicurazione di Via Stalingrado si è mossa, con grande circospezione. Perché? Le ipotesi potrebbero essere due: la prima vede Unipol come un vero e proprio colabrodo, sprovvista (o meglio, sprovveduta) di meccanismi di corporate governance idonei ad evitare che i propri legali rappresentanti pro-tempore possano godere della più totale assenza di controlli interni. In questo caso, esistono precise responsabilità di legge in carico alla società.
L’altra ipotesi è quella che gli azionisti di controllo di Unipol sapessero delle operazioni di Consorte e Sacchetti, e che tali operazioni avessero finalità extra-aziendali, magari legate ai mitologici “costi della politica”. Comunque siano andate le cose, Unipol appare una volta di più come un'”area grigia” della finanza italiana, sulla quale la magistratura ha iniziato ad accendere un riflettore.