Alan Greenspan prende posizione sulla crisi di credito e solvibilità delle istituzioni finanziarie, ed approfitta dell’opportunità per rilanciare il suo manifesto pro-mercato:
“We may not easily confront or accept the price dynamics of home and equity prices, but we can fend off cries of political despair which counsel the containment of competitive markets. It is essential that we do so. The remarkably strong performance of the world economy since the near universal adoption of market capitalism is testament to the benefits of increasing economic flexibility.”
Il capitalismo di mercato come veicolo di flessibilità che agevola la resistenza alle crisi. Stavamo per sottoscrivere entusiasticamente il principio quando una notizia passata quasi inosservata ha richiamato la nostra attenzione.
La Fed, lo scorso 14 luglio (cioè a circa un anno dall’inizio della crisi dei subprime) ha deciso di gettare il cuore oltre l’ostacolo e di esercitare le proprie prerogative di regolatore delle istituzioni creditizie statunitensi. Un potere che, durante gli anni di Greenspan, era stato sostanzialmente congelato. Meno di un mese fa, infatti, la Fed ha finalmente proibito ai prestatori di erogare credito ipotecario “senza considerare la capacità di rimborso dei debitori“. Meglio tardi che mai. Quello che lascia perplessi è che Greenspan possa essersi astenuto dall’intervenire su questa regolazione perché (verosimilmente) contraria alla sua concezione di “capitalismo di mercato”.
Se le cose sono andate in questi termini, si comprende agevolmente che il peccato di omissione di Greenspan ha finito col contribuire in modo determinante alla sequenza di eventi che ci hanno portato, oggi, ad avere in giro per il mondo alcuni esemplari tremontiani che teorizzano garruli le nazionalizzazioni, cioè l’antitesi di quel “capitalismo di mercato” tanto caro a Greenspan (e a noi, si parva licet). Ovviamente scacciando dalla mente l’idea che Greenspan fosse organico all’oligarchia finanziaria che negli ultimi anni ha causato guasti di una certa entità al sistema creditizio statunitense.
A volte bastano piccoli interventi di buon senso, non necessariamente di matrice socialista, per assicurare lunga vita al nostro amato mercato. E a proposito di previsioni, in materia di mercato immobiliare e rischio sistemico pare che lo zio Alan non abbia esattamente un track record da incorniciare, come ricorda perfidamente Mark Thoma:
Ottobre 2004: “Nel complesso, mentre le economie locali potranno sperimentare significativi squilibri speculativi di prezzo, una severa distorsione nazionale dei prezzi sembra alquanto improbabile negli Stati Uniti“;
Giugno 2005: “Malgrado non possiamo escludere con certezza cali nei prezzi delle abitazioni, soprattutto in alcuni mercati locali, tali riduzioni ove si verificassero non avrebbero probabilmente implicazioni macroeconomiche sostanziali”;
Ottobre 2006: “Sospetto che siamo prossimi alla fine di questo trend ribassista, in quanto le richieste di nuovi mutui ipotecari, la serie storica più importante, si sono stabilizzate.”
Amen.