Cosacchi d’Occidente

L’operazione militare lanciata dalla Russia nei confronti della Georgia si trova, nel momento in cui scriviamo, in una fase evolutiva che impedisce di trarre conclusioni sull’assetto “definitivo” dell’area. Un’asserita (dai russi) provocazione georgiana nella repubblica separatista dell’Ossezia del Sud, un intervento russo talmente massivo e concentrato in spazio e tempo da essere definito la versione caucasica dell’operazione Shock and Awe. Come finirà? La Georgia dovrà riporre le proprie aspirazioni occidentali nel cassetto della storia? Forse sì. E la Russia, è realmente quell’Impero del Male di cui favoleggiano i soliti neocon?

Noi pensiamo che la Russia resti una potenza di stabilizzazione dell’area eurasiatica, anche se affermarlo in un momento come questo può apparire piuttosto stravagante. Per stabilizzare, la Russia deve preliminarmente stabilizzarsi. La bonanza dell’andamento di prezzo delle materie prime, negli ultimi anni, ha consentito a Mosca di evitare un’implosione economica, sociale e civile dalle conseguenze devastanti per l’intero pianeta. Il Cremlino sta ora cercando di spendere il surplus delle commodities, tra le altre cose, per ammodernare le proprie forze armate ed il proprio modello di difesa.

Ma la Russia si trova anche a dover gestire una formidabile debolezza strategica: la demografia. La minaccia demografica viene portata alla Russia dall’esterno, nella “cintura islamica” che cinge la Federazione sul suo fianco Sud, ma anche dall’interno, con i drammatici differenziali nei tassi di natalità (e di conseguenza nell’età mediana) dei ceppi etnici che oggi vivono in Russia. Anche un distratto colpo d’occhio a questa tabella mostra la correlazione tra religione e tasso di fertilità, con le popolazioni islamiche che stanno riproducendosi a passo ben più rapido delle etnie cristiane. Queste dinamiche si svolgono peraltro in un quadro di declino assoluto della popolazione della Federazione Russa, causato dalla ridotta aspettativa di vita in età adulta, soprattutto nei maschi in età lavorativa, per effetto di alcolismo, malattie e povertà diffusa. Secondo proiezioni Onu del 2005, la popolazione russa potrebbe ridursi di un terzo entro il 2050, circostanza che provocherebbe l’implosione della Federazione, con conseguenze che pensiamo non sfuggano neppure ai nostri baldi analisti idealisti. Non a caso l’ex presidente (e unico dominus del paese) Vladimir Putin, ha lanciato un programma di welfare pro-natalista che prevede anche l’aumento della spesa sanitaria.

Oggi la Russia affronta quindi una molteplicità di minacce, tutte mirate a indebolirne la capacità di sopravvivenza di lungo periodo. Tra le quali vi è naturalmente l’espansionismo ad oriente della Nato. Qualcuno si aspetterebbe, realisticamente, una Russia arrendevole nei confronti di queste spinte disgregatrici? Noi sinceramente no. Ed allo stesso modo, vista l’entità della minaccia etno-demografica che pende sulla Russia come una spada di Damocle, è difficile attendersi che al Cremlino siano ansiosi di replicare il “modello Westminster” di democrazia tanto caro a noi occidentali. Oggi la Russia si sente minacciata da Ovest e reagisce, economicamente (con il sapientemente dosato e mai autolesionistico controllo delle fonti energetiche) e militarmente, come in questa “campagna di Ossezia”.

Dove peraltro può contare anche su alcune giustificazioni pseudo-giuridiche, come le rivendicazioni separatiste (anche violente) di una minoranza nazionale, che giunge ad invocare l’intervento di un protettore esterno quando le cose vanno male. E’ il paradigma strategico dell'”operazione Kosovo”, iniziato con l’assalto della Nato alla Serbia, nel 1999, e che ha trovato “naturale” conclusione nella dichiarazione di cosiddetta indipendenza kosovara del 2008. Putin aveva “promesso” una rappresaglia, e tale azione non poteva che avvenire nell’area caucasica, il pivot della potenza regionale eurasiatica di Mosca, ed il luogo di massima minaccia alla sopravvivenza della Federazione Russa.

All’Occidente spetta ora valutare se la continua penetrazione a Est delle proprie strutture politico-militari offra benefici di lungo periodo superiori ai costi derivanti dall’accelerazione del declino della Russia, e dalla sua implosione finale, in un teatro come quello asiatico.

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