”Condivido l’opinione espressa dal ministro Sacconi circa la necessità di applicare fino in fondo la riforma delle pensioni prevista dal protocollo del 23 luglio del 2007. La nostra battaglia d’autunno sui temi sociali si muoverà in questa direzione, per il pieno rispetto dei contenuti concordati con le parti sociali”. Lo afferma Cesare Damiano, viceministro del Lavoro del governo ombra del Pd.
“Questo vale per la normativa dei lavori usuranti e per i cosiddetti coefficienti di trasformazione. A questo proposito – prosegue l’esponente democratico – occorre ricordare che la loro revisione era prevista nel 2005, ma il governo Berlusconi non la attuò, lasciandola in eredità al centrosinistra”. ”Noi – aggiunge l’ex ministro – abbiamo definito questo complesso capitolo che riguarda le pensioni del sistema contributivo definendo, tra l’altro, una nuova cadenza temporale per la revisione dei coefficienti dai precedenti 10 anni agli attuali 3 anni. La prima revisione stabilita è prevista con effetto dal primo gennaio del 2010”.
Damiano si augura che ”l’esecutivo nomini una commissione di esperti del governo e delle parti sociali entro la fine di quest’anno, per approfondire questa tematica, come prevede il protocollo”.
Ecco uno splendido esempio di rilettura della storia (con la minuscola) a proprio uso e consumo.
Damiano ha ragione quando afferma che il precedente governo Berlusconi saltò la scadenza del 2005, decennale della riforma Dini, per rivedere i coefficienti di trasformazione del montante contributivo in rendita pensionistica. Anche noi ne abbiamo scritto: quello fu un errore strategico di un governo che, minato dall’interno dall’azione corrosiva dell’Udc (che di fatto agiva da sponda di sinistra e sindacato) e dalle titubanze di An, preferì soprassedere a quell’importante adempimento manutentivo del nostro sistema pensionistico, ricorrendo al metadone del superbonus per quanti rinviavano volontariamente il pensionamento. Alla stessa categoria dei temporeggiamenti da “vorrei ma non posso” si può ascrivere anche il lungo arco temporale previsto per l’entrata a regime della riforma Maroni, poi disinnescata da Prodi con un cartellino di prezzo di 9 miliardi di euro a carico dei contribuenti.
Ma anche l’Unione seguì questo canovaccio. Anziché aggredire immediatamente il tema dei coefficienti di trasformazione, che sono l’architrave dell’equilibrio finanziario del sistema pensionistico, Prodi e Damiano preferirono giocare al gioco del rinvio triennale, subendo il potere di veto e ricatto di estrema sinistra e sindacati. Ma nella dichiarazione di ieri Damiano è andato oltre:
“Andrà posta attenzione ai percorsi lavorativi discontinui, che sono soprattutto a carico dei giovani, al fine di perseguire un obiettivo che consenta, nel sistema contributivo, di portare indicativamente il tasso di sostituzione ad un livello non inferiore al 60 per cento”
Un tasso di sostituzione del 60 per cento equivale a smantellare la previdenza complementare e richiederebbe forti aumenti di contribuzione, aggravando il cuneo fiscale e contributivo ed innalzando il costo del lavoro, con ricadute negative sull’occupazione. Quindi Damiano presenta una non-riforma, che mai avrebbe visto la luce, come una svolta per l’umanità. Sono politici, ci vuole pazienza.
Il dato politico di attualità, però, non è la propaganda di un ministro-ombra, ma l’attesa di ciò che il ministro del Welfare in carica, Maurizio Sacconi, riuscirà a fare. Se mostrerà accondiscendenza alle liturgie sindacali, fors’anche per non rischiare di incrinare l’elevata popolarità di cui l’esecutivo gode, verrà avvolto da una ragnatela di rinvii e veti che ne paralizzerà l’azione. Questo governo sta già mostrando un approccio molto soft ai temi previdenziali e del lavoro, dove sono spariti dal radar temi quali la revisione della disciplina dei reintegri prevista dall’articolo 18, e sembra puntare soprattutto sul ruolo di agevolatore della riforma della contrattazione collettiva. I due temi non sono reciprocamente esclusivi, però, e progettare interventi che riducano gli aspetti meno accettabili della flessibilità passa necessariamente per un ridisegno e riequilibrio dei meccanismi di tutela di insiders ed outsiders del mercato del lavoro. Temi che andranno sviluppati nel Libro Verde sul welfare, e nel Libro Bianco che ad esso farà seguito e darà attuazione alla riforma.