Rispondendo a Giovanni Sartori ed ai suoi timori sui veri costi del federalismo (che sono e restano ignoti, come ha più volte confermato lo stesso Giulio Tremonti), il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, ribadisce le due coordinate della rivoluzione prossima ventura: il passaggio della spesa pubblica ad un sistema di costi standard e l’autonomia impositiva agli enti territoriali.
Sul primo punto restiamo in attesa di capire come verranno dimensionati i costi standard, la base per determinare il fabbisogno ufficiale di ogni ente territoriale e la perequazione in caso di insufficiente capacità fiscale. Un problema tanto rilevante quanto finora sempre sottaciuto o gestito con propagandistica faciloneria.
Sul secondo punto, Calderoli spiega:
(…) Gli enti disporranno di proprie entrate autonome e saranno obbligati ad essere gli attori principali della lotta all’evasione, grazie alla conoscenza che hanno del territorio. In più, i cittadini avranno a disposizione la «tracciabilità» dei tributi: sapranno non solo quanto e a chi versare, ma anche come saranno utilizzate le loro risorse. Dunque, al momento del voto saranno loro, finalmente consapevoli, in grado di premiare o sanzionare gli amministratori.
E’ curioso, perché Calderoli ha descritto minuziosamente il funzionamento dell’Ici, in un ipotetico regime di devoluzione del catasto ai comuni. Resta da chiedersi (e soprattutto chiedere a Calderoli ed al suo partito) perché quel tributo è stato eliminato all’inizio della legislatura, finendo con l’accentuare la natura “derivata” della finanza pubblica locale, come intuito anche da Umberto Bossi in un guizzo di lucidità, sia pure senza elaborare ulteriormente. Ma forse la Lega pensa a gabelle come tariffe locali per aprire pubblici esercizi, magari graduate in funzione della conoscenza della lingua italiana da parte degli aspiranti commercianti.
Addendum: alcuni lettori ci chiedono perché “accanirsi” nella critica all’eliminazione dell’Ici sulla prima casa, che in fondo era un’imposta su di un bene di necessità. Prima di rispondere, è meglio reiterare un concetto: perché dismettere un tributo che poteva essere utilizzato come architrave del federalismo fiscale? Questo lo deve spiegare la Lega, non noi. Poi, riguardo la “necessità” della prima casa: siamo assolutamente d’accordo, ci mancherebbe. Ma la proprietà immobiliare resta un indicatore di capacità contributiva, piaccia o meno. Per ottenere equità impositiva era sufficiente una detrazione in somma fissa, cioè uguale per tutti, dal totale del tributo. Averlo abolito integralmente, anche se sulla prima casa, è manovra regressiva, perché c’è prima casa e prima casa. Inoltre, riguardo la “meritevolezza sociale” della proprietà della prima casa, essa è già affermata con la detraibilità, fino ad un massimo prefissato, degli interessi passivi sul mutuo. Ancora, riguardo alla “necessità” del bene “abitazione”, perché gli affittuari non possono detrarre l’affitto pagato, anche solo in parte o a somma fissa, a titolo di “spese per la produzione del reddito”?
Ultimo punto: la Lega deve comunque farci sapere quali sono i tributi che vuole rendere locali: sono nuovi o preesistenti? Non sono questioni di lana caprina. Diversamente, procedere per slogan rende “questo” federalismo irrealizzabile, per le sue stesse contraddizioni. E’ vero che poi c’è sempre un Fini su cui scaricare le colpe (così come in passato c’era un Follini o un Casini), ma il risultato finale è che la riforma non arriva, e in tal modo non riusciamo a “servire il popolo” come dovremmo.