Con un editoriale pubblicato sul Foglio di ieri e anticipato on line domenica pomeriggio, Giuliano Ferrara si chiedeva se “è possibile” dare “un giudizio equanime sul berlusconismo” già oggi, senza cioè dovere vivere “vent’anni di penose menzogne incrociate, come avvenne dopo il 1945”. Un giudizio sul berlusconismo oggi in crisi, è e sarà necessario: non lo si potrà mettere sotto il tappeto insieme alla polvere depositatasi sulla politica italiana dal 1994 a oggi. Per questo serve portarsi “avanti con il lavoro, invece di aspettare poi vent’anni il momento in cui la cultura italiana sia finalmente autorizzata a dire su questi anni cruciali verità, magari ipotetiche e destinate per molti a restare controverse, che però sfondino un regime di censura ideologica”. Qui le risposte di alcuni blogger, tra i quali il vostro titolare, che trovate per esteso qui di seguito.
Un giudizio equanime sul berlusconismo è difficile, perché Berlusconi non è ancora stato consegnato alla storia patria, pur trovandosi in una inequivocabile parabola discendente e avendo da molto tempo esaurito la sua “spinta propulsiva”, che a posteriori pare sempre più essere stata legata solo a una innovativa strategia di marketing politico nell’ormai remoto 1994, in seguito riproposta secondo lo stesso canovaccio e capitalizzata grazie a errori marchiani della sinistra e del suo “riformismo” impotente e moralistico.
I fatti sono clamorosamente mancati, sostituiti da recriminazioni su “nemici” e “quinte colonne”, nella ricorrente retorica dell'”agente ostruente esterno”, quello che non lo avrebbe lasciato lavorare. Da qui il rincorrere miraggi di riforme istituzionali che avrebbero demolito definitivamente il sistema di pesi e contrappesi che pure nella celebrata democrazia americana limitano, a volte in modo decisivo, il raggio d’azione dell’uomo più potente del mondo.
Inseguendo le sue personali ossessioni e sapendo forse che la posta in gioco doveva ogni volta essere alzata per coprire l’assenza di fatti, Berlusconi ha condannato il paese ad un dibattito surreale ed intossicante, che ci ha fatto perdere quasi un ventennio nell’appuntamento con la realtà. Un caso di “sviluppo bloccato” che si è portato dietro anche la sinistra, costretta ad inseguire Berlusconi sul piano della comunicazione onirica e salvifica di un domani che mai arriverà, o meglio che arriva sotto forma di incubo. Berlusconi non ha fatto riforme liberali, si è limitato ad assemblare una coalizione di interessi corporativi in modo speculare a quanto fa la sinistra, e questo il paese non poteva permetterselo già venti anni addietro, figuriamoci oggi. Lo “spirito del 94” è solo il ruminato slogan per un prodotto ormai obsoleto, come le famose “cassette” nell’era del digitale.
In sintesi, l’impressione è che l’unico vero “agente ostruente” della crescita politica e civile di questo paese sia stato Berlusconi.