Su Linkiesta, Lorenzo Dilena spiega chi saranno i maggiori beneficiari del demenziale testatico tremontiano sui depositi titoli. Una misura che, secondo le tabelle di via XX Settembre, dovrebbe fruttate 8,8 miliardi di euro nel quadriennio, all’incirca un quarto del totale netto della manovra. Ma andrà proprio così? E’ lecito nutrire molti dubbi, ma anche una certezza: le banche non si strapperanno le vesti, tutt’altro.
La stima di 8,8 miliardi di euro è statica, cioè ipotizza che gli agenti economici (nel caso di specie il risparmiatore, lodato e mazziato) non mutino i propri comportamenti di fronte alla nuova imposizione. Non andrà così, ovviamente. Dietro “suggerimento” delle banche, approfittando del fatto che l’imposta di bollo sui depositi titoli non si applica ai depositi bancari né alle quote di fondi comuni di investimento, ecco che i nostri risparmiatori, ormai affetti da sindrome di Stoccolma, potranno spostare i propri risparmi su conti di deposito, contribuendo a ridurre il costo medio della raccolta bancaria, e nei fondi comuni di investimento, che in larghissima misura sono controllati dalle banche. I risparmiatori venderanno i propri Bot e Btp per sottoscrivere quote di fondi comuni obbligazionari, che tali Bot e Btp hanno in pancia.
Tali fondi sono storicamente “specializzati” nel consegnare performance scadenti, sistematicamente inferiori al benchmark, mentre applicano commissioni di gestione attiva su portafogli che, nella maggior parte dei casi, sono gestiti passivamente. E le banche, che tali società di gestione controllano, ringraziano per la seconda volta. Certo, c’è un lieve aumento dell’Irap sugli istituti di credito ma che volete che sia, verrà agevolmente ribaltato sui clienti in vari modi.
Questo è Robin Hood Tremonti, l’uomo che ha passato gli ultimi anni a tuonare contro lo strapotere delle banche, ha cercato di accalappiarle con i Tremonti Bond, venendone quasi sistematicamente rimbalzato (a parte singoli casi di oggettiva difficoltà a ricapitalizzare), si è inventato i prefetti a guardia del credito, senza che nulla accadesse, ed in parallelo ha elargito alle banche medesime alcuni cadeaux, come il colpo di spugna sulla restituzione degli importi derivanti da anatocismo, e la creazione di tanti bei deferred tax assets, cioè la possibilità per le banche di dedurre dall’imponibile, entro nove anni, gli avviamenti derivanti dall’ondata di acquisizioni degli ultimi anni, previo pagamento di una imposta sostitutiva del 16 per cento. Per quanto tale misura, letta con gli occhiali della storia, fosse soprattutto un disperato tentativo di recuperare risorse fiscali nel mezzo del marasma planetario causato dall’implosione di Lehman, è indubbio che le banche ne hanno tratto robusto beneficio.
Ed oggi, in un momento in cui le nostre banche stanno affrontando grandi e gravi sfide, il testatico sul risparmio si configura come un “aiutone” di stato. Nessuna meraviglia che l’uomo che guida pro-tempore il sindacato delle banche si sia di recente trovato a proferire queste immortali parole: “Io sono tremontiano, per prassi e pensiero“. E ci mancherebbe altro.
P.S. E gli 8,8 miliardi di gettito, che fine faranno se i risparmiatori si sposteranno su altri investimenti fiscalmente meno penalizzanti?, vi chiederete. Non temete: in un modo o nell’altro, quei soldi usciranno comunque dalle vostre tasche.