Seguivamo Martino, ma ci ha seminati

Intervistato da Il Sussidiario, Antonio Martino reitera alcuni suoi vecchi cavalli di battaglia in politica economica, segnatamente l’euro come male assoluto comparso all’orizzonte della storia dell’umanità per dannarci. In queste perorazioni, tuttavia, l’allievo di Milton Friedman incappa in qualche contraddizione di troppo, rispetto alla propria visione del mondo.

La posizione di Martino sulla moneta unica ha una motivazione razionale:

«La ragion d’essere della moneta unica è infatti quella di sottrarre sovranità monetaria agli Stati nazionali, che negli anni passati ne hanno fatto cattivo uso finanziando la spesa pubblica con l’inflazione»

E fin qui, ci siamo. Il problema di quanto sta accadendo in Europa, secondo Martino, sarebbe l’ipotetica deriva verso la monetizzazione dei deficit di bilancio, implicita nell’evoluzione attesa dell’EFSF, affiancato alla Bce. Martino sembra ignorare che, ad oggi, il bilancio della Bce non è cresciuto perché (a differenza della Fed) la Eurotower non ha monetizzato alcunché, se si eccettua il microscopico programma di acquisto di covered bonds, tre anni addietro, per soli 60 miliardi di euro. Peraltro, basterebbe buttare un’occhio all’evoluzione della massa monetaria M3 in Eurolandia per realizzare che siamo ben più vicini alla deflazione via credit crunch che all’inflazione via uso massivo delle stampanti. Ma non divaghiamo.

Sostiene Martino, nell’ipotesi di “proseguimento” della fantomatica monetizzazione della Bce:

«Se si prosegue con quest’opera su larga scala, gli effetti simultanei saranno due: la recessione, perché l’euro forte non ci rende competitivi sui mercati internazionali, e l’inflazione, come conseguenza della messa in circolazione di nuova moneta»

Ora, come si possa prevedere un “euro forte” a seguito di un’azione di monetizzazione che causerebbe inflazione, è cosa che ci sfugge. Aumentando la quantità di qualcosa, ceteris paribus, il suo prezzo aumenta o diminuisce? Quindi, par di capire, per Martino l’aumento di dimensioni del bilancio della Bce creerebbe un cambio forte. Per tacere della solita canzoncina dell’inflazione causata dall’espansione monetaria (per conferme ventennali di questo assioma, citofonare Giappone).

Ragionando in questi termini, quindi, Martino esclude categoricamente che oggi in Eurolandia ci sia un output gap, cioè un buco di attività che tiene lontano ogni rischio inflazionistico. Siamo arrivati al timore per qualcosa che semplicemente non esiste (l’inflazione), per giunta “previsto” in modo piuttosto bizzarro: l’euro è forte ma abbiamo anche il rischio che un giorno possa crearsi  inflazione, non è chiaro per quale congiuntura astrale, date le premesse.

La maggiore lamentela di Martino è che l’euro sarebbe disfunzionale, a differenza del dollaro, perché

«(…) il suo valore esterno è aumentato, il suo potere d’acquisto interno è bassissimo. E il risultato è che le famiglie non riescono ad arrivare a fine mese: prima con uno stipendio da due milioni di lire se la cavavano benone, oggi con mille euro fanno la fame»

Quindi abbiamo una moneta forte, ma anche il rischio di inflazione. Per rilanciare la competitività dei singoli paesi serve riprendere il controllo del cambio, magari con qualche bella svalutazione old style, però l’inflazione è il male. C’è da farsi venire le vertigini.

Quali soluzioni, quindi, a questa euro-crisi? Per Martino (giustamente) non servono sanzioni contro i paesi che non rispettano i parametri di Maastricht, perché esse sarebbero intuitivamente irrealizzabili e, se anche lo fossero, creerebbero un effetto pro-ciclico del tutto disfunzionale. D’accordo, e quindi? Niente paura, Martino ha la soluzione:

«Vanno invece esclusi momentaneamente dall’Eurozona i paesi che non rispettano i parametri di bilancio: così resteranno solo quelli finanziariamente solvibili»

Ottimo, perché non ci abbiamo pensato prima? Prendiamo un paese con i conti in disordine, e lo sospendiamo a mezz’aria. Si, ma come? Reintroducendo nottetempo le monete nazionali? Oppure magari discriminando temporaneamente gli euro in funzione della lettera di controllo sulle banconote, in modo da segregarli e renderli non più fungibili a livello sovranazionale? Martino non lo dice, forse perché lui si occupa di strategie e non di tattiche.

Ma è la chiusa dell’intervista che, da sola, vale il biglietto. Quello verde, nella fattispecie:

Da che cosa nasce la forza del dollaro?
«Dalla politica monetaria della Fed, che malgrado le follie di Barack Obama è riuscita a mantenere l’inflazione a un tasso basso, inferiore al 3%»

Prego? Ma scusi, professor Martino, lei è visceralmente contrario alla crescita del bilancio di una banca centrale, in quanto generatrice di iperinflazioni e demoni assortiti, e finisce con l’elogiare proprio la banca centrale che più di ogni altra ha espanso il proprio bilancio, a furia di stampare moneta? Non coglie,  in questo suo argomentare, una lieve contraddizione? O forse l’obiettivo era quello di dar contro a quel comunista di Obama, e ciò rende del tutto trascurabile la furiosa monetizzazione attuata dalla Fed negli ultimi tre anni?

Noi ci sforziamo con ogni mezzo di seguire Martino. Il problema è che, ogni volta, lui riesce a seminarci.

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