Pare che la proposta dell’ex Ragioniere Generale dello Stato, Andrea Monorchio, di iscrivere ipoteca coattiva sul patrimonio immobiliare delle famiglie, abbia avuto un enorme successo tra la nostra intellighenzia pennivendola. Oggi si replica sul Foglio, con una ideuzza liberale (ça va sans dire) del noto “economista” Giorgio Dell’Arti.
Dunque, la cosa funzionerebbe così: si tratta di una iscrizione ipotecaria obbligatoria sugli immobili delle famiglie. Possibili due versioni, la “Dell’Arti Grande” e la “Dell’Arti Piccola”, con o senza Abs e climatizzatore. Nelle parole del geniale inventore di questo schema, la prima versione prevede quanto segue, corsivi nostri:
«Il governo vara per decreto un prestito forzoso che le banche devono erogare, sotto forma di mutuo, ai possessori di case, siano essi persone fisiche o giuridiche. I possessori di case hanno l’obbligo, in base alle norme stabilite dal decreto, di contrarre il prestito presso le banche accendendo ipoteca di primo o di secondo grado su ciascuna loro casa per una quota pari al 20 per cento del valore dell’immobile. La metà dei soldi riscossi in questo modo andrà direttamente ad abbattere il debito pubblico. L’altra metà resterà nelle mani dei cittadini, che potranno spendere a loro piacimento le somme ricevute. Durata del mutuo: cento anni. Interessi a carico dello stato. Al cambio di proprietà, o per vendita o per eredità, obbligo di estinzione del mutuo»
Quindi, vediamo: obbligo di iscrizione ipotecaria sulle abitazioni private (anche di secondo grado, in questo è meno liberale della proposta Monorchio, si direbbe), per il 20 per cento del loro valore. La metà dell’importo finanziato andrebbe ad abbattere lo stock di debito, l’altra metà finirebbe in tasca alle famiglie, che potrebbero spendersela in consumi, confidando che gli interessi sarebbero pagati dallo stato fino a scadenza dell’ipoteca, posta ad un secolo, al netto di fenomeni di deperimento dell’immobile ipotecato. Non ci sono indicazioni sul tasso del mutuo, ipotizziamo che potrebbe essere quello di mercato. Che da noi non esiste (ancora), visto che mutui a cento anni esistono solo in Giappone, crediamo. Ma a tutto si può rimediare.
Interessante il fatto che queste amate famiglie sarebbero “libere” di spendersi in consumi fino al dieci per cento del valore di mercato del loro immobile, prendendo la strada americana della mortgage equity withdrawal, che ci ha regalato un boom creditizio senza precedenti ed una debt deflation altrettanto epocale. Ma sono dettagli. Più sottile, anche in questo caso, l’ipotesi di escussione della garanzia. Se lo Stato paga l’interesse (e verosimilmente anche il capitale), cosa provocherebbe il realizzo della garanzia? Una insolvenza dello stato con ripudio del debito, si direbbe. Come nella proposta Monorchio.
Anche qui, in caso di esecuzione forzosa, sorge il problema di vendere un balcone o una cantina del debitore coatto, che non è un romano di modi non particolarmente raffinati ma un suddito italiano costretto ad indebitarsi “per il suo bene” e a consumare un decimo del suo patrimonio immobiliare, una versione contemporanea del Conte Ugolino: “La bocca sollevò dalla fiera veranda” Ah, e se il suddito ritenesse di non aderire alla “proposta liberale” di Dell’Arti e del Foglio? No problem: in quel caso, una bella “botta secca”, che non è l’epilogo di una delle cene eleganti del nostro premier ma una patrimoniale del 12 per cento sul valore dell’immobile, entro il periodo di realizzazione dell’operazione, per la quale sarebbero concessi 6-8 anni di tempo. Decorsi i quali, in caso non si ottemperasse alla iniziativa benefica, la “botta secca “salirebbe al 20 per cento. E chi non avesse i liquidi per pagare questa somma? Fatti suoi, venda la casa e non frantumi i cabbasisi. C’è poi la versione light, la “Dell’Arti piccolo”, con una piccola ipoteca del 5 per cento, che produrrebbe 300 miliardi di euro di gettito e consumi.
Le motivazioni per questa manovra, secondo l’autore, sono piuttosto serie:
«Si tratta di un’operazione immorale? Sostengo di no: se le case, comprate a 10 tanti anni fa, valgono adesso 100, è anche per merito del maledetto stato e dei debiti che ha contratto. Mentre lo stato si indebitava, noi cittadini italiani non stavamo da un’altra parte (non è qui questione di destra o sinistra). Dunque niente di strano se adesso, in una situazione di emergenza finanziaria e nella necessità di scuotere uno sviluppo stagnante, ce ne facciamo carico almeno per un po’»
Questa è la tesi del debito pubblico come immagine quasi speculare della ricchezza privata. La radice ideologica di ogni patrimoniale, come diciamo da tempo. Alla fin fine, si tratterebbe peraltro di un riscadenziamento di debito pubblico a cento anni (e non del suo abbattimento, ma questo a Dell’Arti sfugge, pare), compensato da un sussidio robusto trasferimento di risorse pubbliche alle banche, sotto forma di interessi sui mutui, a tasso di mercato. Alla fine, le banche scoppierebbero di utili, meglio che nulla.
Ma a parte queste misure “liberali”, la prossima della quali sarà il rapimento dei figli di queste c@xx0 di famiglie che non vogliono consumare, è notevole la fantasmagorica evoluzione del Foglio. Che in pochi mesi è passato dal rigoroso monetarismo friedmaniano all’eresia di Posen, al keynesismo di Krugman; dalla esecrazione della patrimoniale alla sua rivalutazione salvifica, con proposte etiliche come questa di Dell’Arti. Sospetto: che ci sia di mezzo la parallela evoluzione della disperazione contabile del Cav.?
Perché pare che l’Amor Loro si stia in questi giorni d’angustia convertendo alla patrimoniale, come testimonia un documento riservato dell’esecutivo che il fogliante Michele Arnese (cronista di razza, a opinabile giudizio del vostro titolare) ha potuto visionare. E quindi, tutto quadra. Assieme all’ipoteca forzosa sulla prima casa, gli abbonati (forzosi pure loro) al Foglio riceveranno in omaggio i capolavori di Giuliano Ferrara George Orwell. Perché alcuni PIIGS sono più uguali di altri. Sappiatelo.