Perché in Europa la stretta fiscale non basta

In una sessione dedicata alla crisi dell’Eurozona, durante il meeting annuale della American Economic Association, il capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, ha affrontato il caso dell’apparente enigma spagnolo. Quello di un paese con un bilancio pubblico in equilibrio ed invidiabilmente basso rapporto debito-Pil, prima della tempesta. Gli squilibri, nel caso spagnolo, stavano altrove rispetto ai conti pubblici.

E precisamente stavano nello squilibrio delle partite correnti e nell’enorme afflusso di capitali che esso determina, immagine speculare di un ampio deficit commerciale. La Spagna per anni si è trovata in questa condizione, ed i capitali in entrata hanno alimentato un boom di consumi e di credito che si è riflesso in un boom immobiliare senza precedenti. Questa dinamica non dovrebbe esservi sconosciuta, se siete nostri lettori. La troverete spiegata in questo vecchio (e preveggente) articolo, scritto per il LiberoMercato di Oscar Giannino a marzo 2008, cioè ben prima dello scoppio della bolla.

In un commento di Ryan Avent su Free Exchange, blog dell’Economist, si parte dalla premessa che l’equilibrio fiscale spagnolo era fallace e forniva un falso senso di sicurezza, visto che era considerato ignorando l’ampio squilibrio delle partite correnti. E di conseguenza ogni futuro meccanismo europeo di monitoraggio degli squilibri macroeconomici dovrebbe tenere in considerazione tali squilibri, come warning preventivo. Eviteremo di ribadirvi che, se le cose stanno in questi (condivisibili) termini, allora qualcuno dovrebbe sanzionare la Germania per eccessivo surplus commerciale, che è uno squilibrio macroeconomico uguale e contrario ad un deficit commerciale. Non lo faremo, per evitare di ricevere anatemi ed accuse di cripto-comunismo da qualche prestigioso cattedratico facile alle scomuniche.

Tornando al punto dobbiamo però chiederci, anche per entrare nella mente dei tedeschi (si fa per dire): se la politica fiscale fosse lo strumento unico ed esclusivo per correggere ogni squilibrio, cosa servirebbe per contrastare un deficit eccessivo di partite correnti? Blanchard ha presentato i risultati di una analisi che si chiedeva quale livello di risposta di politica fiscale sarebbe stato necessario alla Spagna per conseguire e mantenere costante un deficit delle partite correnti pari al 2,7 per cento di Pil.

I risultati sono stati, prevedibilmente, sconcertanti: secondo il modello utilizzato da Blanchard, la Spagna avrebbe dovuto conseguire un avanzo fiscale del 20 (venti) per cento del Pil per mantenere un contenuto deficit delle partite correnti. Ovviamente un simile surplus non potrebbe essere raggiunto, visto che avrebbe implicato (sempre secondo il modello di Blanchard) una contrazione del Pil spagnolo del 9 (nove) per cento.

E quindi? Quindi, fermo restando che un surplus di bilancio “umano” sarebbe comunque stato utile a contrastare il surriscaldamento dell’economia ed il deterioramento delle partite correnti, appare evidente che la politica fiscale (e le sue strette) non può essere lo strumento che toglie i mali dal mondo. Nel caso spagnolo, ad esempio, servivano anche e soprattutto misure micro, e non macro. Ad esempio, un giro di vite regolatorio sui criteri di concessione dei mutui, riducendo il loan-to-value, cioè la quota massima finanziabile del valore dell’immobile.

Ma il punto, quello vero, è un altro: serve un coordinamento macroeconomico in seno all’Eurozona, che riconosca che esistono anche altri squilibri, oltre a quelli di bilancio pubblico, e che per gestire tali squilibri non servono solo misure fiscali o bilanci pubblici in pareggio costante, qualsiasi cosa accada. Quindi, ben venga maggiore “unione”, ma deve basarsi su tutti gli squilibri, inclusi quelli di partite correnti, e non solo sullo spaventapasseri del bilancio pubblico. Ma siamo certi che questo concetto sia presente ai cosiddetti leader europei e, soprattutto, ai tedeschi ed al loro inflessibile mercantilismo?

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