Approssimandosi il primo turno delle presidenziali francesi, i due principali contendenti innalzano il livello dello scontro e delle promesse. Ieri Nicolas Sarkozy ha presentato un agile programma di 32 punti in cui s’impegna solennemente a riportare in pareggio il bilancio pubblico francese entro il 2016 e tornare in attivo nel 2017, per permettere alla Francia di tornare “padrona del proprio destino”, ed evitare di fare la fine “degli amici greci” e “degli amici spagnoli”.
L’iniziativa è pregevole, perché pone in una campagna elettorale ed in un paese che non ha mai avuto particolare vocazione per il rigore di bilancio il tema dell’austerità fiscale come valore per sé, o meglio come strumento necessario al paese per “restare libero” (perché il messaggio di fondo è quello, in definitiva), e permette a Sarkozy di attaccare frontalmente con l’accusa di iresponsabilità fiscale e gabelliera François Hollande, il suo competitor socialista, che ha promesso di andare in Europa a rimettere mano al Fiscal compact, ripristinare l’età pensionabile a 60 anni dagli attuali 62, aumentare i trasferimenti per figli a carico ma anche di confermare un deficit-Pil al 3 per cento nel 2013, come Sarkozy, ed un pareggio di bilancio solo un anno dopo la previsione dell’attuale inquilino dell’Eliseo.
Non dovrebbe essere sfuggito a nessuno che stiamo comunque parlando di un ritardo di due e tre anni rispetto all’Italia nel conseguimento del mitologico pareggio di bilancio, quindi uno “sforzo” nel complesso piuttosto blando per un paese che non riesce più a tenere il passo della Germania, e che quest’anno dovrebbe avere una spesa pubblica pari ad uno stratosferico 56 per cento di Pil, i cui costi unitari del lavoro in dieci anni sono aumentati di 15 punti percentuali rispetto a Berlino, spingendo Parigi alla deriva in pieno Mediterraneo, che ha un rapporto debito-Pil del 90 per cento ed una disoccupazione al 10 per cento, che ha 90 dipendenti pubblici ogni mille abitanti contro i 50 della Germania.
Il problema è che i francesi non sembrano essere preparati a quello che li aspetta, e soprattutto che entrambi i contendenti presidenziali promettono di fatto un “risanamento” tramite aumento della pressione fiscale, anche se il pacchetto di Sarkozy tenta di tagliare di cinque punti percentuali in cinque anni l’incidenza della spesa su Pil. Il tutto annaffiato da robustissime sparate demagogiche, per evitare di offrire il fianco alle rispettive estreme, si chiamino Marine Le Pen o il neo-comunista Jean-Luc Mélenchon. E quindi vai con gli attacchi a Schengen, all’esoso bilancio comunitario, alla globalizzazione che deruba posti di lavoro francesi, in un tremontismo bilaterale che promette di rendere molto cupo il futuro francese, in questa Europa austera. Avendo la consapevolezza che, se i mercati decidessero di mettere nel mirino la Francia, sarebbe tutto l’edificio comunitario a rischiare il crollo.
Persi per persi, ci sarebbe quasi da augurarsi una vittoria di Hollande, “per vedere di nascosto l’effetto che fa”. Ma questo, ovviamente, non è un endorsement.