C’è qualcosa di esemplare, nella sceneggiata di ieri di Renata Polverini alla seduta straordinaria del Consiglio regionale del Lazio. Qualcosa che serve a trarre conclusioni più generali sullo stato (ed il destino) di questo paese, come anche sulle ricette di politica economica che dovremmo attuare. Proprio per questo la prognosi resta sfavorevole.
Polverini ha strigliato i consiglieri regionali, rei di trascinare i piedi di fronte alla necessità di tagliare i costi della politica. L’occasione, come noto, è stato il caso Fiorito, l’ex capogruppo regionale del Pdl maestro di rimborsi spese. Il Lazio è una delle regioni col maggiore debito sanitario, il cui rientro viene periodicamente rinegoziato con il governo centrale. I cittadini di quella regione subiscono una maxi addizionale Irpef che non fa che deprimere l’economia, autoalimentando il circolo vizioso.
Di fronte ad una condizione così grave, la Polverini si è accorta solo oggi, a bubbone Fiorito esploso, che i costi della politica sono insostenibili, moralmente e finanziariamente. Convoca un consiglio straordinario, con diretta televisiva, durante il quale si esibisce in imbarazzanti paragoni oncologici o di disastri naturali. Invoca niente meno che una spending review dei costi della politica, largamente fuori tempo massimo. Si scusa con i dipendenti Fiat e con i lettori di Edmondo De Amicis. Solo oggi, ribadiamolo, ad anni di distanza dal suo insediamento e dopo essersi voltata dall’altra parte sull’inutile ampliamento delle strutture immobiliari della Regione, per permettere ad ogni consigliere di avere un bagno ed una scrivania per la segretaria e dopo aver accettato che il Pdl, escluso dalle ultime elezioni per noti motivi e poi rientrato dalla finestra, fosse alla base della proliferazione di strutture commissionali consiliari e di altri strapuntini.
Quale è la lezione nazionale di politica economica che possiamo trarre dalla vicenda laziale? Che sulla struttura della spesa pubblica grava una enorme maggiorazione da costi della politica, la definizione onnicomprensiva che parte dalla cresta sulla cancelleria ed arriva alle tangenti sugli appalti pubblici. Quando si invocano tagli alla spesa pubblica nell’illusorio convincimento di “affamare la bestia”, occorrerebbe aver presente che la bestia occupa la stanza dei bottoni, e che è molto improbabile (per usare un eufemismo) che la bestia medesima possa rinunciare al proprio prelievo predatorio. Motivo per il quale c’è una elevata probabilità che i tagli di spesa siano fatti sulla carne viva dell’utenza, preservando la rendita parassitaria di questi personaggi.
Che alternativa, quindi? Il rischio più che teorico è che, per riuscire effettivamente a tagliare la spesa pubblica, sia necessario azzerare le strutture politico amministrative. Il che è evidentemente infattibile. O, in alternativa, costruire delle forche in piazza ed usarle, come piacerebbe ad alcuni. Che finirebbero fatalmente col prendere il posto dei parassiti appena eliminati. Ma la prossima volta che vi dicono che avete vissuto sopra i vostri mezzi, pensate a tutti i Fiorito che infestano questo paese, ed a tutte le Polverini che la buttano in caciara senza che nulla cambi realmente.