Cosa accomuna la grande finanza e la cleptocrazia italiana?

Risposta facile: l’elevata propensione all’innovazione per aggirare vincoli e tutto quanto si frappone tra l'”agente” ed il profitto. Fateci caso: il problema sono gli appalti pubblici e le revisioni di costo in corso d’opera? Li si mette sotto controllo (forse), ma solo per scoprire che, all’improvviso, esplodono le “consulenze esterne”, perché nella struttura è insorto un improvviso deficit di competenze specialistiche. Si mette sotto controllo l’esborso in consulenze? Ecco esplodere le spese di “comunicazione”, perché viviamo nella società della partecipazione consapevole, ed i cittadini “devono sapere”. Ad esempio, che si spendono milioni di euro per abbonarsi alle più disparate agenzie di stampa, quelle che rilanceranno i proclami del cleptocrate di turno.

Cosa verrà, dopo? Al momento non lo sappiamo, ma Wall Street ai nostri borsaioli in colletto bianco fa un baffo. E’ la natura “liquida” e cangiante dell’innovazione finanziaria e del fund raising. Perché “i costi crescono, signora mia“. E comunque sia chiaro che abbiamo vissuto sopra i nostri mezzi: troppi centurioni, in effetti.

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