Ieri il ministro spagnolo dell’Economia, Luis de Guindos, ha presentato le linee guida in base a cui verrà realizzata la bad bank del sistema bancario spagnolo, il veicolo che dovrà rimuovere dai bilanci delle banche i prestiti divenuti tossici. E, come ampiamente prevedibile, l’intera costruzione rischia di andare a schiantarsi contro la realtà, come già acaduto negli Stati Uniti e in Irlanda.
Per cominciare, lo stato spagnolo vuole coinvolgere nell’operazione i privati, in modo da poter scendere sotto il 50 per cento di proprietà del veicolo ed evitare quindi di gravare eccessivamente sul debito sovrano tramite consolidamento. Il governo di Madrid immagina una partecipazione privata del 55 per cento, motivo per il quale oggi de Guindos è a Londra per tentare un road show liofilizzato che alletti gli investitori internazionali. La bad bank dovrebbe avere uno stato patrimoniale composto per il 10 per cento da capitale proprio e per il 90 per cento da passività garantite dal sovrano spagnolo. All’attivo del veicolo ci saranno invece i prestiti immobiliari in sofferenza (ma in astratto potranno essere ceduti anche quelli sani). Le banche cedenti riceveranno in pagamento obbligazioni garantite dallo stato spagnolo, che verranno utilizzate per ottenere liquidità dalla Bce. Al contempo, le banche cedenti che avranno necessità di mezzi propri riceveranno i prestiti dell’ESM tramite il FROB, il fondo pubblico spagnolo per la “ristrutturazione ordinata” del settore creditizio.
Il problema resta sempre quello: a quanto saranno valorizzati gli attivi tossici ceduti dalle banche? Se il prezzo sarà troppo basso rispetto all’ipotetico valore di realizzo (che in moltissimi casi semplicemente non esiste), i contribuenti spagnoli dovranno pagare il conto attraverso maggiori aiuti dell’ESM, mentre le banche avranno minori esigenze di ricapitalizzazione, cioè di soldi dell’ESM. E viceversa. Carta vince, carta perde. E’ comunque del tutto evidente che il coinvolgimento dei privati potrà avvenire solo con prezzi di acquisizione dei bad loans a stralcio (o a strozzo, se preferite termini meno asettici), cioè rimettendo nei guai le banche.
Pensate a quanto accaduto negli Stati Uniti, dove il TARP di fatto non è diventato bad bank proprio per impossibilità a prezzare il valore corrente di mercato dei prestiti, o all’Irlanda, dove la cessione è avvenuta a prezzi troppo generosi verso le banche, ammazzando di conseguenza i contribuenti. Perché questa è l’essenza del concetto di bad bank: comunque la si guardi, ammesso e non concesso che parta, finirà male. Forse è per quello che Germania, Olanda e Finlandia non vogliono che l’ESM ricapitalizzi “in proprio” le banche spagnole: fiutano la fregatura ed il cartellino del prezzo. Ma queste sono le gioie del paese che ha “fondamentali migliori dell’Italia”, come disse qualcuno.
Riguardo le banche spagnole ed il recente stress test compiuto dalla società di consulenza Oliver Wyman, non ci sono solo luci. Se il metodo di valutazione adottato è certamente robusto (campionamento di 1600 prestiti, rappresentativi dell’intero universo di loans), e se le ipotesi di scenario avverso sono ragionevolmente realistiche (vedi qui, pagina 11), ci sono comunque alcune “licenze poetiche”, come l’inclusione nel capitale dei deferred tax asset, crediti d’imposta la cui inclusione nel capitale ha già fatto storcere il naso ai supervisori globali.
Ma soprattutto l’esercizio si basa su una significativa capacità del sistema bancario spagnolo di sviluppare profitti e proteggerli nelle fasi avverse (vedi sempre qui, pagina 50-53). Il che, vista la condizione del paese, appare al momento piuttosto velleitario. Per questo c’è motivo di ritenere che lo stress test sia al contempo verosimile ed irrealistico.
La sintesi estrema è una sola: la Spagna ed il suo sistema bancario sono rotti, e serviranno molti anni ed altrettanti aiuti esterni per ripararli. In questo senso parlare di “deriva greca” per il paese iberico ha perfettamente senso.