Profumo di antico nell’aria

Qualche considerazione molto spicciola ed in ordine sparso sull’esito delle primarie del centrosinistra, che hanno “incoronato” Pierluigi Bersani a front runner di coalizione alle prossime, mitologiche elezioni politiche. Il risultato finale è inequivocabile, segno che Renzi non ha praticamente intercettato voti degli elettori dei candidati eliminati al primo turno. Non che non lo si sapesse, peraltro, vista la levata di scudi contro il “corpo estraneo” di Firenze che ha segnato tutta questa consultazione.

Molto ispirato il concession speech di Renzi, che ha utilizzato concetti e parole probabilmente mai sentiti in un paese dove vincono tutti, ad ogni occasione. Il discorso di Bersani per contro è stato molto bersaniano, quindi molto ruspante, privo di grandi slanci retorici e da “maniche rimboccate”. Quello che ha colpito molto negativamente, subito dopo la conclusione del discorso di Bersani, è stata la materializzazione e l’occupazione del video da parte dei due soggetti più controversi e rottamabili del Pd, Massimo D’Alema e Rosy Bindi.

Il primo ha confermato che non chiederà deroghe per ottenere le ricandidatura, ma troverà altri modi “per essere utile al partito”. A conferma del fatto che in alcuni ambiti “culturali” partito e stato tendono a coincidere, attendiamo quindi fiduciosi il ritorno di D’Alema alla Farnesina. L’ex premier non ha mancato di deliziarci con l’ennesima replica di uno dei pezzi forti del suo collaudatissimo repertorio, l’attacco frontale contro le “iene dattilografe” della stampa, che a suo dire avrebbero “danneggiato” Renzi spingendolo contro il Pd in una logica di contrapposizione frontale che alla fine avrebbe determinato una vibrante “chiamata alle armi” contro l’intruso. Tesi suggestiva, D’Alema dovrebbe verificarla con Repubblica, che come noto ha fatto una campagna risolutamente pro-Renzi (questa è sarcastica, mi raccomando). Ma tant’è.

La Bindi è apparsa in video felice come una canuta bimba di sessant’anni, ed è stata travolta dall’onda emotiva nel momento in cui, rispondendo alla fatidica domanda, ha detto che “la regola è che c’è la deroga“, confermando di non volersi schiodare dal parlamento nemmeno a cannonate, e di vivere come una assoluta normalità l’idea della sua ricandidatura. Queste due performance dell'”usato sicuro” ricondizionato e garantito sono giunte pochi minuti dopo che Bersani si era ricordato di chiamare sul palco i suoi “giovani” da sbarco ed invocare il cambiamento generazionale. Capita anche ai migliori.

Che accadrà, ora? Davvero Renzi tornerà a fare il militante di partito ed il sindaco di Firenze? Davvero non chiederà posti per i suoi in vista di una tornata elettorale che con alta probabilità si svolgerà col Porcellum? Se la risposta è affermativa, non si capisce per cosa Renzi abbia gareggiato. Se invece i renziani vorranno adeguata rappresentazione parlamentare, appare molto difficile pensare che il Pd possa sopravvivere nell’assetto attuale, perché Renzi non è compatibile con “questo” Pd, che il sindaco di Firenze vuole strattonare e spostare su posizioni più centriste o forse meno vetero-socialiste, andando a pescare nell’enorme ghiacciaia di voti cosiddetti moderati. Beninteso, Renzi non era e non è l’uomo della provvidenza, quello che salverà il paese con qualche ricetta magica, peraltro piuttosto ruminata e già sentita. Ma il suo messaggio di cambiamento (ed il modo in cui è stato veicolato, discorso di accettazione della sconfitta incluso) segna una discontinuità che sarebbe opportuno avesse un qualche seguito.

Nel frattempo, Pierluigi Bersani dovrà essere coerente con se stesso e con il suo popolo, evitando di “raccontare favole”. La minaccia populista è sempre dietro l’angolo, come bene dice il segretario. Il quale tuttavia sbaglia bersaglio quando sostiene che tale minaccia viene esclusivamente “da destra”. Forse sarebbe meglio leggere ed ascoltare i proclami di Nichi Vendola per capire dove sta la vera demagogia, ma questo Bersani lo (ri)scoprirà solo vivendo, e noi con lui. In quest’opera di riscoperta il segretario potrà guardare a Parigi, a quell’Eliseo dove risiede il nuovo idolo della sinistra italiana, quel François Hollande che appare molto ben avviato ad uscire pesto e concio dal wrestling con la realtà, come ben dimostra la vicenda della minacciata nazionalizzazione di un impianto siderurgico di ArcelorMittal, poi finita a colpi di sussidi pubblici per salvare seicento posti di lavoro, e con l’incazzatura biblica contro Hollande di tutti i sindacati transalpini (favorevoli alla nazionalizzazione), dai “comunisti” della CGT ai “moderati” della CFDT. Se la sinistra italiana cercava qualcuno ancor più impegnato di essa a guardare nello specchietto retrovisore, lo ha trovato. Da qui l’evidente entusiasmo.

Nel frattempo, come commentava ieri a caldo il deputato Pd pro-Renzi Andrea Sarubbi, Bersani dovrà fare molta attenzione, perché se tutte le cambiali firmate durante le primarie dovessero esse messe all’incasso, “torneremmo direttamente alla Prima Repubblica”. E qualcuno in effetti si è già messo in scia, nel nome del socialismo:

Da oggi il compito di Bersani diventa soprattutto quello di convincere gli italiani del valore salvifico della prossima patrimoniale che pagheranno. Aspettiamo, comunque. Noi e Mario Monti.

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