(Post tecnico con patetiche velleità di narrativa fantascientifica)
Con il meeting di ieri, la Federal Reserve ha fatto un altro passo verso l’ignoto delle politiche monetarie non convenzionali, decidendo di mantenere il livello “eccezionalmente basso” di tassi d’interesse (compresi tra 0 e 0,25 per cento sui Fed Funds) sempre “per un considerevole tempo”, ma questa volta non più con indicazione temporale di “almeno fino a metà del 2015”, bensì fin quando permarranno alcune condizioni.
Tali condizioni sono: un tasso di disoccupazione superiore al 6,5 per cento, un tasso d’inflazione a uno-due anni previsto non superiore al livello di lungo termine del 2 per cento, e aspettative inflazionistiche di lungo termine che restino “ben ancorate”. L’insieme di queste condizioni rappresenta la traduzione operativa della “dottrina Evans”, dal nome del membro della Fed che ha lanciato la regola circa un anno addietro, ispirandosi al doppio mandato della Fed: stabilità monetaria compatibile con la massima occupazione.
Non solo: in tale arco temporale la Fed continuerà a comprare titolo ipotecari al passo di 40 miliardi di dollari mensili e riprenderà anche a comprare Treasury (cioè a “stampare”), per 45 miliardi mensili, allo scadere della operazione Twist, in base alla quale la Fed vendeva titoli a breve scadenza per comprare quelli a lunga.
Che accadrà, ora? Non è dato sapere, nel senso che non è detto che tale policy riesca a spingere la crescita e riassorbire la disoccupazione. In fondo, potrebbe tranquillamente finire come in Giappone, dove la politica monetaria di fatto si trasmette poco e nulla alle ruote del veicolo. C’è tuttavia dell’altro, nel contesto statunitense: in primo luogo, riguardo i mercati finanziari, se obiettivo è quello di fare aumentare l’inflazione realizzata partendo dalle aspettative, e se al contempo la Fed compra titoli di stato a lunga scadenza riducendo il loro rendimento, appare chiaro che si realizzerebbe una sorta di “repressione finanziaria”, in cui cioè i detentori di titoli a lunga scadenza conseguirebbero rendimenti reali negativi, cioè diverrebbero “poveri”. Torna quindi la repressione finanziaria come strumento per conseguire obiettivi di politica economica, come ben sappiamo anche noi italiani, da un annetto a questa parte.
La seconda “area grigia” dell’azione della Fed è relativa all’effettivo meccanismo di trasmissione all’economia reale di tale mossa monetaria. Se Bernanke continua a comprare mutui, il loro rendimento è destinato a calare, a parità di ogni altra condizione (potrebbe non andare necessariamente e sempre così, ma assumiamolo per necessità). Se i tassi sui mutui scendono, un numero crescente di persone si troverà nella condizione di rinegoziare il mutuo a condizioni più vantaggiose, “estraendo” liquidità dal mutuo, da destinare a consumi. Certo, non saremo più ai livelli folli del 2007-2008 perché nel frattempo molti proprietari di abitazioni sono finiti “sott’acqua”, cioè hanno un debito ipotecario che eccede il valore dell’immobile, e quindi sono bloccati fino a tempi migliori.
Comunque sia, la Fed è sempre più un’astronave che esplora gli spazi interstellari ignoti, nel tentativo di trovare una soluzione al problema di sopravvivenza economica del pianeta America. Pensate invece all’Eurozona, in cui una banca centrale, pur se pilotata da un comandante abilissimo e pragmatico, non riesce comunque a schiacciare il pulsante della velocità warp e sta perdendo potenza. Mentre a bordo la popolazione è affetta da uno strano morbo austero, che porta a debilitazione estrema e rischio di morte per inedia. Aspettando il signor Scott.
Update – Per Paul Krugman la manovra Fed è molto importante “sul piano filosofico”, ma non ha “implicazioni sostanziali di policy”. Immancabile stoccata all’Eurozona nel titolo: come dissentire?