Spiacevoli effetti collaterali di un mondo senza crescita

Oggi in Giappone sono stati pubblicati alcuni dati macroeconomici piuttosto deboli. Nello specifico, il preliminare di giugno della produzione industriale, che segna un calo mensile del 3,3% a fronte di attese per una flessione dell’1,5%, e (all’interno di questo) la produzione di veicoli, in calo mensile del 9,5%. Inoltre, in giugno, la variazione annuale della spesa delle famiglie è in calo dello 0,4%, a fronte di attese per una crescita dell’1,4%. La doverosa premessa è che un dato non fa una tendenza, ma ci sono comunque alcune riflessioni da compiere, relative alle ricadute globali della mitologica abenomics.

Il Giappone, come noto, sta cercando di risollevare la propria economia attraverso una combinazione di politiche monetarie non convenzionali molto aggressive, e di espansione fiscale molto tradizionale. La conseguenza della prima è stato un poderoso deprezzamento del cambio dello yen, sulla scorta di aspettative di un gigantesco riposizionamento degli investitori domestici, in uscita dallo yen ed in direzione di attivi esteri. Le evidenze circa il successo della abenomics non sono conclusive, e tali resteranno ancora per molto tempo, mentre si attende di capire se ed in che modo il premier Shinzo Abe, ora che ha il confortevole controllo di entrambi i rami del parlamento, agirà per stimolare la crescita dell’economia dal lato dell’offerta, liberalizzando i mercati del lavoro e dei prodotti, ed andando clamorosamente contro le maggiori constituency del Partito Liberaldemocratico dello stesso Abe, che quanto a resistenza al cambiamento sono degli italiani con gli occhi a mandorla.

Mentre attendiamo che questo miracolo si compia, il Giappone si trova oggi a cercare di capire che accadrà dopo aver monetizzato sontuosamente il deprezzamento dello yen degli ultimi mesi, in caso apparisse chiaro che il mondo non cresce o cresce assai poco, e la Cina sta rallentando vistosamente. Non è che ci vogliano competenze accademiche per arrivarci: se il mondo non cresce ed il Giappone sgomita, accadrà che i suoi esportatori accetteranno di sacrificare parte dei propri margini e di ribassare i prezzi, attingendo a parte del deprezzamento dello yen. Detto in altri termini: in un mondo a somma zero, indotta dalla bassa crescita globale, il Giappone esporterà deflazione. Lo stesso accadrebbe per qualsiasi altro paese cercasse di manovrare il cambio in modo più o meno aggressivo, per finalità di stimolo. La scoperta dell’acqua calda, ma tant’è. C’è solo da sperare che, per quel momento, non ci siano in giro troppi laudatori del “modello giapponese” alla risoluzione dei problemi del mondo.

P.S. A margine di queste considerazioni, e sempre in modalità “brevi cenni sull’universo deflazionistico-recessivo”, vi segnaliamo che Deutsche Bank, nei prossimi due anni, taglierà i propri attivi per 250 miliardi di euro, perché a Francoforte hanno scoperto di avere un rapporto di leverage un po’ troppo alto, visto al netto del capitale ibrido (il cui destino regolatorio è ancora oscuro) ed astraendo dal sistema di ponderazione per il rischio di ogni classe di attivi, spesso calcolato dalle banche secondo modelli interni anche molto fantasiosi. Se non avete capito molto, sintetizziamo: Deutsche Bank ha realizzato di essere (ancora) un filino sistemicamente rischiosa e sottocapitalizzata. Il rischio è che da questa cura dimagrante si produca l’ennesima stretta creditizia, anche se gli interessati giurano che non accadrà. Speriamo, anche se DB ha tali e tante leve su cui agire, prima di intaccare i prestiti, che in effetti potrebbe proprio finire così.

La seconda notiziola, tratta da Bloomberg, segnala una correlazione sfiziosa: quella tra andamento del credito bancario cinese e produzione manifatturiera tedesca, espressa dall’indice dei direttori acquisti. E’ solo una correlazione, ovviamente: potreste osservarne una simile anche tra andamento delle macchie solari e statistiche riproduttive sugli ornitorinchi, ma di certo non serve uno statistico né un rocket scientist per ipotizzare che, se la Cina frena, la Germania (ed i suoi produttori di macchinari) si prende il contraccolpo. E’ e resta un mondo difficile. Ottima occasione per spiegare a molti sognatori ad occhi aperti perché sorgono seri problemi, quando il maledetto Pil non cresce.

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