La Fed coglie di sorpresa i mercati decidendo di non avviare questo mese la fuoriuscita dai propri acquisti di attivi. Gli investitori restano a chiedersi che accadrà ora, ed in alcuni casi criticano l’incertezza prodotta dall’azione della banca centrale statunitense. Che tuttavia potrebbe in realtà segnare la fine dell’incertezza, a favore di una scelta di campo ancora più netta per la crescita.
Il FOMC ha deciso quindi di attendere ulteriori dati economici, considerati gli effetti negativi sulla crescita prodotti dai più elevati tassi su mutui e l’evoluzione in corso del dibattito fiscale negli Stati Uniti. Durante la conferenza stampa, Ben Bernanke ha quindi ridimensionato il ruolo dominante che l’evoluzione della disoccupazione era attesa avere sulla fuoriuscita dal QE3 e sull’avvio di una fase di rialzo dei tassi ufficiali. Di fatto, la Fed ha cambiato in corsa l’approccio basato sulla “regola” della disoccupazione, ed ha riportato discrezionalità e flessibilità nella futura condotta della Fed. Resta da valutare se questa mossa segna effettivamente il ritorno della “Bernanke put” e della reflazione, o meno.
La decisione della Fed ha disorientato i mercati, che devono ora valutare che fare in termini di scelte allocative. Al momento, prevale il consenso sull’avvio del tapering da dicembre di quest’anno e sua conclusione a metà del prossimo. Riguardo l’avvio del rialzo dei tassi ufficiali la Fed è stata molto conciliante, prevedendo un livello del 2% a fine 2016, che è inferiore al consenso del mercato. Ma al momento è necessario prendere atto che il cambiamento di funzione di reazione da parte della Fed potrà rimettere in gioco alcune delle asset class che sino a ieri erano state penalizzate dall’attesa per l’imminente tapering. Tali attivi sono quelli più sensibili alla crescita, quali mercati emergenti (sia pure con la necessaria selettività), azioni ed obbligazioni societarie. I titoli di stato restano invece sensibili a penalizzazioni, soprattutto per aumento di premio al rischio nominale, legato cioè ad eventuale ripresa di aspettative inflazionistiche.
Sul mercato dei titoli di stato, la decisione della Fed ha prodotto un rally a livello globale, ma non particolarmente vistoso, data l’incertezza degli investitori sulla policy di comunicazione della banca centrale statunitense. Se effettivamente la Fed, quella di Bernanke e (a maggior ragione) quella che a breve potrebbe essere guidata da Janet Yellen, ha deciso di perseguire la crescita attraverso maggiori prezzi degli attivi rischiosi, ciò finirà col richiedere tassi a breve termine più alti di quelli oggi previsti. L’incertezza prodotta dall’ormai abituale braccio di ferro tra Obama ed i Repubblicani sul debito ed il bilancio federale dovrebbe poi frenare gli investitori nell’operare strategie di carry. Robusto rally settimanale per le obbligazioni emergenti in valuta locale.
Sui mercati azionari, ampi recuperi delle quotazioni dopo la decisione della Fed, che di fatto rassicura i mercati e supporta gli attivi orientati alla crescita, quali ovviamente le azioni. Il rimbalzo ha premiato sopratutto le azioni emergenti, che avevano maggiormente sofferto nelle scorse settimane su aspettative per l’avvio del tapering. Si registrano alcuni ritorni di flussi sui mercati emergenti. Allo stato attuale si tratta di movimenti più speculativi, ma la stabilizzazione delle aspettative potrebbe effettivamente riportare interesse strutturale per i portafogli globali. Per analoghe considerazioni (stimolo della crescita, “qualunque cosa serva”), i ciclici sono da preferire ai difensivi.
Sul mercato delle obbligazioni a spread si sono registrati ampi restringimenti dopo l’annuncio della Fed, che di fatto ha ridimensionato la criticità del tasso di disoccupazione, facendone solo una delle determinanti delle decisioni di policy. In conseguenza del clima più disteso, oltre che in anticipazione dell’eventuale avvio del tapering a dicembre, è verosimile attendersi un aumento dei volumi di emissione di obbligazioni societarie.
Sul mercato dei cambi, il rinvio della fuoriuscita dal QE3 dovrebbe esercitare nel breve termine una modesta pressione ribassista sul dollaro, anche se su singole coppie di cambi potrebbero esservi movimenti più ampi. Ad esempio su alcune valute di paesi produttori di materie prime, che nelle ultime settimane hanno sofferto l’accumulo di posizioni corte molto più elevate di quanto ci si attenderebbe in una fase di ripresa dell’economia globale.
In settimana, materie prime miste, con ribassi per l’energia e rialzi per metalli base e preziosi. Il ritorno sul mercato del greggio libico in quantità non esigue ha calmierato il prezzo del petrolio. Malgrado ciò, l’offerta di greggio resta relativamente stretta, permanendo problemi in altri paesi produttori. A conferma di ciò, la curva futures del Brent resta ampiamente invertita. La decisione della Fed ha indotto un apprezzamento del 5% nei corsi dell’oro, che negli ultimi anni ha avuto vistosi recuperi proprio a seguito delle manovre di politica monetaria non convenzionali delle banche centrali, che hanno inizialmente portato ad aspettative inflazionistiche. Anche i breakeven sui titoli indicizzati all’inflazione si sono ampliati dopo l’annuncio della Fed, altra indicazione che i mercati stanno tornando a valutare l’ipotesi di ripresa delle aspettative inflazionistiche.