Il corpo del Leader

Come sempre accade ad ogni momento di crisi esistenziale nella vita politica di Silvio Berlusconi, anche a questo giro (a maggior ragione) sono ripresi gli spasmi del Pdl (o di come diavolo si chiamerà) per capire che fare da grandi. Ma oggi siamo effettivamente ad un tornante della storia dell’unico caso di partito di plastica che sta decomponendosi manco fosse di materiale organico.

La sequenza è collaudata: crisi del leader, ricerca di un delfino o di altro animale in grado di succedergli mentre lui fa il padre nobile assiso sul trono, la truppa chiede un congresso e l’immancabile “radicamento territoriale”, i più spericolati e sganciati dalla realtà chiedono pure primarie. Tutto questo teatrino, sino ad oggi, veniva bruscamente interrotto da Silvio medesimo, che di solito si risvegliava dal ripiegamento interiore facendo sapere ai media di essere “in ottima forma”, di avere persino “perso numerosi chili” e di essere pronto a tornare nell’agone, più bello e più forte che pria. Al che, immediato dietrofont della truppa sulle velleità democratiche interne al partito. La campanella di Pavlov segnava la fine della ricreazione.

Questa volta pare differente. Il Capo è in un angolo, anzi sembra proprio scacco matto, anche per motivi anagrafici. La psico-farsa della scorsa settimana pare averlo affossato definitivamente. Ecco quindi che la truppa torna ad agitarsi, ma questa volta con una variazione sul tema: che fare del caro prossimo estinto? E’ sintomatico che, ad oggi, non si sia ancora materializzata la scissione di cui si parlava giorni addietro: troppo forte è il timore, per i potenziali scissionisti, di perdere un brand considerato ancora, a torto o a ragione, in grado di vendere molto nel teatrino della politica italiana ed in cabina elettorale. Ed ecco quindi che lo scontro ornitologico tra falchi e colombe prosegue sottotraccia (si fa per dire), ma senza giungere a fuoriuscite di quella che potrebbe essere la nuova maggioranza neocentrista e democrista del Pdl. Una guerra di conquista silenziosa del corpaccione del partito, ma senza rotture eclatanti e badando di conservare le insegne silviesche: troppo grande è la paura di fare la fine di Gianfranco Fini, staccandosi dall’icona del Capo.

Solo che c’è un problema: siamo certi che l’operazione imbalsamazione riuscirà? In altri termini, con un Berlusconi ai servizi sociali, e nell’attesa di probabili nuove mazzate giudiziarie, siamo certi che il carisma e la leadership di un leader ormai sfiancato siano ancora così potenti da rappresentare un marchio dotato di un robusto avviamento e non invece in liquidazione? Lo scopriremo solo vivendo. Ma se valesse la seconda ipotesi, possiamo ipotizzare una implosione centrista del Pdl, e l’ennesimo tentativo di creare un centrone paludoso verso cui attrarre la componente moderata dell’elettorato Pd ed altri elettori apolidi, i cui voti sono oggi in ghiacciaia?

Ecco qualcosa su cui speculare, per ingannare il tempo che ci separa dalla ennesima resa dei conti (pubblici).

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