Oggi sul Corriere, nella giornata che la stampa italiana dedica per tradizione alle omelie (Scalfari su Repubblica, Guido Rossi sul Sole), arriva la terza messa, per opera di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi. Dove si prende atto, se mai ve ne fosse bisogno, che per tentare di rilanciare la nostra economia serve sforare i parametri fiscali europei, cioè agire anche dal lato della domanda.
L’editoriale di oggi non si discosta, nei precetti, da quello dello scorso 24 settembre, che proponeva, in sostanza, commissariamento (non è chiaro se soft o hard) contro sforamento:
«Un governo che avesse il coraggio delle proprie convinzioni, anziché rincorrere il 3% con aumenti di tasse, proporrebbe a Bruxelles una riduzione immediata della pressione fiscale di 50 miliardi, accompagnata da tagli corrispondenti, ma graduali della spesa, e riforme coraggiose da attuare nell’arco di un triennio. Il deficit supererebbe per un paio d’anni il 3%, come in Francia. Torneremmo sotto la sorveglianza europea, una ragione in più per garantire che tagli e riforme vengano davvero attuati. E soprattutto, riducendo i sussidi improduttivi, liberalizzazioni, mercato del lavoro e riduzioni della spesa, si darebbe il segnale che la priorità è la crescita»
E’ quindi già un passo avanti che il Dinamico Duo abbia compreso che serve tempo, e non poco, per venire a capo di tutto quello che ci sarebbe da fare. Il concetto è ribadito nell’editoriale di oggi, in cui si identifica un’Italia che si contrae (quella legata alla domanda interna, di fatto), ed una che cresce (quella vocata all’export). Per rendere dinamico l’intero paese servono riforme strutturali. Non sbadigliate: lo sappiamo, lo sentiamo e leggiamo da anni. Quello che è nuovo, in questo concetto ormai consunto dal tempo, è il fattore tempo, ed il riconoscimento che esiste una transizione, durante la quale non si riesce ad evitare di produrre deficit. E così, per produrre un taglio pesante e tangibile al costo del lavoro, oltre che per fare molto altro, servono soldi, e tanti. Ecco perché serve una tregua fiscale condizionata:
«Bisogna ridurre le tasse sul lavoro oggi così alte da rendere difficile per molte imprese fare quel salto di qualità che le renderebbe competitive sul mercato internazionale. Parliamo con chiarezza e credibilità all’Unione Europea chiedendo di permetterci qualche anno di flessibilità sui vincoli fiscali per facilitare queste riforme e le riduzioni graduali di spesa che le devono accompagnare»
Questo concetto è pressoché identico a quello espresso, un annetto addietro, da Alessandro Penati. Qualcosa vorrà dire se, poco alla volta, i mostri sacri della nostra pubblicistica accademica ed economica arrivano alla stessa conclusione. Proviamo a sintetizzare il concetto, dopo anni passati a sbattere la testa contro il muro e fiumi di pensoso inchiostro, tra ali di tifosi plaudenti per i quali spesa improduttiva è sempre quella altrui? E peraltro, facciamo progressi sulla quantificazione della transizione: il mese scorso, per A&G, servivano “un paio d’anni” per sistemare tutto; oggi servirebbe “qualche anno”.
Dunque, funziona così: se c’è crescita economica, ci sono risorse fiscali spendibili. E’ questo il momento in cui vanno fatte le riforme “di struttura”, come si può intuire. Ma questo è anche il momento in cui i governi tirano i remi in barca e fanno propaganda su quanto sono bravi a guidare il paese nel mare procelloso dei nostri tempi, e via convegni e baracconate televisive. Per contro, quando ci si trova in una crisi esistenziale, da eccesso di debito in un contesto reso depresso e depressivo da strette fiscali e credit crunch, che fare? Alesina e Giavazzi riconoscono, come già fatto da Penati un anno addietro, che serve fare deficit per sostenere la domanda, mentre in parallelo si avvia la ristrutturazione del sistema economico, cioè ci si occupa della offerta.
Perché le due dimensioni (domanda ed offerta), ora dovrebbe essere sufficientemente chiaro, non possono mai essere disgiunte. E’ consolante che anche Alesina e Giavazzi ci siano arrivati, alla fine, accantonando (almeno per oggi, per i prossimi giorni vedremo) idee fantasiose sul taglio immediato di spesa che finanzia altrettanto immediati tagli di imposte, e vissero tutti felici e contenti. Sfortunatamente non accadrà praticamente nulla, ora che abbiamo preso coscienza di questa verità. O forse sì, qualcosa accadrà: ad esempio, prendere atto che essere rientrati nel mitico 3% di deficit-Pil, in questo periodo storico, è una camicia di forza senza reali contropartite. Ecco qualcosa su cui riflettere e, in caso, discutere in Europa.