Macromonitor – 1/12/2013

Settimana di scarse notizie economiche, con azionario ancora in rialzo e reddito fisso stazionario. Si va verso la chiusura dell’anno con gli interrogativi che ci accompagnano da tempo.

Il tema principale resta la valutazione dell’azionario, che al momento appare ancora l’asset class preferibile rispetto alle alternative, soprattutto rispetto a liquidità ed obbligazionario. Queste considerazioni relative al momento appaiono ancora fare premio su una valutazione delle azioni legata ad andamenti passati, che invece suggerirebbe cautela. Malgrado il continuo recupero azionario, i titoli a reddito fisso non appaiono ancora maturi per assumere posizioni esplicitamente corte o comunque di sottopeso perché, se ciò avvenisse senza basi fondamentali, come abbiamo sperimentato mesi addietro, le banche centrali sarebbero indotte ad agire per frenare il conseguente rialzo dei rendimenti, visto come concreta minaccia alla crescita.

In questo scenario, i prodotti di credito (obbligazioni societarie) sono attese comportarsi in modo simile all’azionario: un loro rally riduce il costo del debito per gli emittenti ed induce un miglioramento degli utili, che a sua volta migliora il profilo creditizio dell’emittente ed alimenta la domanda per il suo debito. Almeno in prima approssimazione, visto che può anche accadere che il restringimento degli spread alimenti invece il debito, peggiorando il profilo di rischio dell’emittente. Nella situazione attuale, il tentativo della Fed di sostituire gli acquisti dell’easing quantitativo con la politica di comunicazione della forward guidance appare destinato a non convincere completamente i mercati, a causa delle incoerenze temporali che incorpora, e quindi non dovrebbe riuscire ad impedire una tendenza rialzista dei rendimenti obbligazionari, che a sua volta eserciterebbe effetti negativi maggiori su debito e valute emergenti, in una riedizione, probabilmente meno violenta, di quanto accaduto nei mesi scorsi.

Sul mercato dei titoli di stato, il 2014 “promette” quindi rendimenti in aumento, soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, a seguito di crescita ed avvio del tapering statunitense. La forward guidance di Fed e Bank of England dovrebbe tendere a frenare l’ascesa dei rendimenti ma, esercitando il massimo controllo sulla parte a breve termine della curva, non impedirà un irripidimento della medesima. In Eurozona, le pressioni disinflazionistiche dovrebbero supportare un atteggiamento ancora espansivo della Bce, che dovrebbe premiare soprattutto la periferia (Italia e Spagna).

Sui mercati azionari, la settimana ha visto l’ennesimo massimo di ciclo, con gli indici globali ormai a pochi punti percentuali dal massimo storico di tutti i tempi, segnato a ottobre del 2007. L’azionario giapponese sovraperforma gli altri mercati su aspettative che la Bank of Japan annunci già a gennaio ulteriori misure di stimolo per compensare il percorso verso l’aumento di tre punti percentuali dell’Iva ed il rallentamento che ne conseguirà. Queste attese di ulteriore espansione monetaria, accoppiate al rialzo dell’inflazione oltre le attese visto nei dati pubblicati in settimana, eserciteranno una spinta rialzista sul mercato azionario, attraverso la ulteriore riduzione dei rendimenti reali. I mercati azionari emergenti hanno evidenziato in settimana una tendenza al moderato ribasso, mentre è proseguito il deflusso dai fondi specializzati. Il Brasile in particolare appare destinato a soffrire per i continui rialzi dei tassi ufficiali d’interesse, nel tentativo di piegare un’inflazione piuttosto cocciuta.

Sul mercato dei cambi, la settimana ha visto un rafforzamento dell’euro contro dollaro, anche a causa del progressivo restringimento delle condizioni di liquidità del mercato monetario dell’Eurozona, a cui la Bce dovrà rispondere per evitare ulteriori pressioni disinflazionistiche e freno alla ripresa. Il 2014 dovrebbe vedere un rafforzamento del dollaro contro il blocco delle valute emergenti, agevolato dalla riduzione del differenziale di crescita e dall’avvio della normalizzazione della politica monetaria.

In settimana, materie prime in lieve ribasso, guidato dal petrolio WTI, che si trova oggi ben 18 dollari al barile sotto il Brent. I due benchmark petroliferi sono sempre più decorrelati per effetto della crescente produzione di Stati Uniti e Canada, che causa colli di bottiglia e scorte in forte aumento nelle raffinerie del Midwest statunitense, dove il WTI viene prezzato. Per contro, il Brent viene prezzato sulla base di elementi “normali” di domanda ed offerta mondiale. Da qui l’ampia e crescente divergenza tra i due tipi di greggio.

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