La zattera identitaria di Angelino Cariglia

Quando un paese ha smarrito la rotta, forse irrimediabilmente, e si trova percosso quotidianamente da eventi che sono la giusta punizione per essersi cullati in una sorta di pensiero magico ed aver liquidato le dissonanze cognitive come un complotto dei poteri forti (meglio se di oltre confine), capita che sulla scena arrivino personaggi che sono solidamente inconsistenti, biascicano filastrocche ruminate per anni e sono completamente clueless su quello che servirebbe fare per trarsi d’impaccio.

Al momento, il personaggio che più di chiunque altro riassume in sé queste caratteristiche è il “leader” del cosiddetto Nuovo Centro Destra, Angelino Alfano. Uomo fortunato perché, in un paese in cui la selezione negativa e la cooptazione disfunzionale sono regola di vita, fu cooptato anni addietro da Silvio Berlusconi per esserne qualcosa di simile ad un delfino, per quanto tale definizione tenda a portare una terribile sfiga a tutti quelli a cui viene appiccicata.

Un onesto mestierante della politica, anagraficamente ancora giovane, di democristianità pallida e sbiadita, come accadrebbe a qualsiasi democristiano storico che oggi dovesse tornare dall’aldilà e fronteggiare un mondo terribilmente più complesso di quello che fu, dove alla fine bastava difendersi dal pericolo sovietico (con robuste dosi di spesa pubblica e tangenti che dalla medesima originano). Alfano, per ammissione del suo pigmalione, non aveva il quid ma, al dunque, ha sfoderato un paio di attributi nuovi fiammanti, decidendo di non seguire Berlusconi sino alla caduta del governo, probabilmente perché presosi paura dalle potenziali conseguenze. Da quel dì si è trovato con un piccolo biglietto della lotteria in tasca, pur se avvelenato: una compagine ministeriale incredibilmente sovradimensionata rispetto alla (puramente ipotetica) consistenza elettorale di un marchio che pare un uscito da un hard discount.

In cuor suo, il buon Angelino non vede in realtà l’ora di tornare alla casa del Padre (in senso politico, s’intende, non biologico-fideistico) e dare vita ad un bel cartello, magari con Fratelli d’Italia e Storace, per tentare di tornare a “governare” il cumulo di macerie fumanti chiamato Italia. Naturalmente, che la cosa possa accadere con l’ennesima coriandolizzazione di sigle partitiche è un problema che non sfiora neppure lontanamente il nostro Decaduto, quando declama di voler per sé e solo per sé il 51% dei seggi. Del resto, la coerenza in questo paese non è mai stata moneta elettorale a corso legale.

Il buon Angelino, negli ultimi tempi, appariva in palese affanno: la bulimia mediatica e decisionista di Matteo Renzi (da qualcuno già paragonata a quella del Bettino Craxi post Midas) lo schiaccia in un angolo, e la minaccia di dover restituire il maltolto di poltrone e sgabelli ministeriali al primo rimpasto utile lo angustia. Ecco quindi che il Nostro aveva ed ha un disperato bisogno di dire “qualcosa di destra”, che naturalmente in Italia non significa le stesse cose che altrove.

Perché in Italia dire “qualcosa di destra” equivale soprattutto ad assumere accenti al limite dell’omofobia e della xenofobia. Ecco quindi che, la cosiddetta evoluzione del dibattito politico (in realtà l’ennesima rimasticatura ma rinfrescata dal decisionismo giovanilista di Renzi) gli permette di provare a strillare “qualcosa di destra”, rigorosamente all’italiana. Occasione la comparsata da Fabio Fazio e, complice un pedale della frizione piuttosto scivoloso, ecco il claim, che potete ammirare qui in tutta la sua magnificenza.

Solo che, successivamente, il buon Angelino deve essersi accorto che lui comunque resta democristiano dentro, e non può quindi diventare il primo leghista alla Erminio Boso che passa per strada. E così quel tweet scompare, sostituito da uno spacchettamento un filo più “moderato” (il pervertimento dell’accezione di questo termine è, come noto, forse la maggiore eredità politica di Berlusconi).

Sarebbe ovviamente ozioso spiegare ad Angelino che nessuno (nemmeno Cecile Kyenge) ha mai neppure lontanamente ipotizzato una soluzione di ius soli “all’americana”, dove torme di donne gravide si trascinano verso la riva italiana segnando il touchdown della loro esistenza, in un paese notoriamente ricchissimo di risorse di welfare. Per non parlare della spettacolare immagine (poi cassata) del “grande locale Arcigay”, che ricorda un po’ un posto dove la gente gioca a tombola ed occasionalmente socializza ingroppandosi.

Ma non si deve sottilizzare: per Angelino la missione è compiuta. Ora che ha mostrato di essere un esponente a tutto tondo della destra italiana, nessuno potrà più dire che “si aprì la porta, non entrò nessuno, era Alfano“, e può quindi tornare a chiedere “legge e ordine” e magari anche il quoziente familiare, gli asili nido, la “burocrazia zero”, il contrasto d’interessi e quant’altro. Magari evitando di sbandierare gli innegabili successi del governo nella riduzione della pressione fiscale, da dentro il celeberrimo fortino dove il Nostro ha rinchiuso il senso del ridicolo, gettando la chiave.

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