Ieri il sindaco di Torino (nonché presidente dell’Anci), Piero Fassino, ha elucubrato sul destino delle partecipate comunali. Il risultato è una cosa piuttosto tartufesca che scimmiotta la strategia altrettanto furbetta seguita a livello nazionale per le cosiddette privatizzazioni.
Che disse, il buon Fassino? Questo:
«I comuni potrebbero scendere sotto il 35% delle partecipate e l’Anci è disposto ad aprire un tavolo su questo. Si potrebbe stabilire la regola come facemmo per le fondazioni bancarie, che i comuni scendano al di sotto di una data quota di proprietà, in questo caso il 35%»
A parte la gentile concessione dell’Anci disposta ad aprire il solito tavolo pieghevole, da dove cominciare? Intanto, a livello metodologico, bisogna distinguere tra partecipate in perdita e quelle in utile. Per quelle in utile, servirebbe sapere se il medesimo deriva da pesanti sussidi pubblici e/o rendite monopolistiche. Non sono questioni di poco conto, vista anche la tendenza patologica di questo paese a privatizzare monopoli o incumbent in posizione dominante senza porsi il problema di aprire il mercato sottostante. Ma non vorremmo essere troppo pedantemente teorici.
Il punto è un altro: perché scendere sotto il 35%? Domanda oziosa: per poter mantenere la manina pubblica al comando, soprattutto riguardo le utility quotate. E’ la scimmiottatura del controllo su Eni ed Enel, in pratica. E quindi che facciamo, “privatizziamo” una municipalizzata con posizione monopolistica per condividere con privati di minoranza tale rendita monopolistica? Notevole, no? E poi che si fa con le municipalizzate quotate in cui questo limite è già stato raggiunto, a livello di singoli comuni? In A2A, ad esempio, Milano e Brescia hanno ciascuno il 27,5% del capitale sociale. In quello di Hera il comune azionista di maggioranza relativa, Bologna, ha solo l’11%. Discorso analogo per Iren, controllata al 36% da una holding pubblica consortile. Che facciamo, quindi, mettiamo fuorileggei i patti di sindacato, più o meno formalizzati?
Ma l’aspetto che sfiora la comicità è il parallelo fatto da Fassino tra municipalizzate e fondazioni bancarie. Prescindendo dalla inappropriatezza del confronto, forse Fassino dimentica i guasti storici causati dalle fondazioni nel rapporto con le banche conferitarie. Da una in particolare, rimasta in condizioni di violazione di una legge dello stato, sin quando (a crisi esplosa) “qualcuno” si è accorto della violazione medesima. Incredibili le amnesie selettive che possono prodursi alla cosiddetta classe dirigente di questo paese.
Essendo pura “classe dirigente”, anche Fassino è colpito da tale patologia, avendo una consorte (con la minuscola) che proviene dal contado che ha espresso quel groviglio armonioso con cui un’intera città si è impiccata. Ma sono e restano dettagli, l’importante è lanciare “proposte”, e muovere la classifica.