Investimento diretto estero, l’Italia non esiste
Secondo l’indagine annuale della società di consulenza Ernst & Young, nel 2013 l’investimento diretto estero in Europa ha segnato un nuovo massimo storico, con 225 miliardi di euro, un incremento del 25% sull’anno precedente, che hanno creato 166.000 nuovi impieghi. La classifica per paese è particolarmente eloquente.
I primi 5 paesi per destinazione di investimento diretto estero (FDI, Foreign Direct Inflows) sono Regno Unito, Germania, Spagna, Francia e Belgio. La Spagna nel 2013 ha subito un calo del 19% nelle iniziative di FDI, dopo gli incrementi consecutivi del periodo dal 2010 al 2012.
Gli Stati Uniti restano il singolo maggior investitore in Europa, con un peso di circa il 25% dei progetti e degli impieghi generati. L’investimento intra-europeo (cioè di imprese europee che si insediano in altri paesi europei) conta per oltre il 50%, ma nel 2013 ha generato il 12% di impieghi in meno. In forte aumento (+28%) il numero di progetti d’investimento effettuati in Europa da paesi dei BRIC, tra i quali la Cina resta leader. Quasi il 50% dei progetti d’investimento complessivi riguardano le funzioni marketing e vendite, che precedono la manifattura, che tuttavia è al primo posto per generazione di impieghi.
Secondo la survey di EY, l’attrattività dell’Europa all’investimento diretto estero è in aumento, ma molto dipenderà dalla creazione e dal rafforzamento di condizioni favorevoli all’insediamento, ad esempio promuovendo la modernizzazione del mercato del lavoro, ulteriore integrazione economica e riducendo i carichi burocratici legati alla regolamentazione.
Non c’è altro da aggiungere, chi vuole può leggersi i risultati della survey in dettaglio qui. Utile tuttavia osservare che l’Italia non figura tra i primi 15 paesi europei come flussi in entrata di investimento diretto estero. Alcune considerazioni: in primo luogo, il fatto che un paese del peso economico del nostro sia ai margini dei flussi di FDI è semplicemente sconcertante. E’ utile che i nostri politici ( in questo momento che per alcuni è di inspiegabile ubriacatura, manco fossimo al day after della finale mondiale del 2006) prendano atto che l’investimento estero a cui puntare è quello diretto, e non solo quello di portafoglio. Il primo è stabile, il secondo volatile ed opportunistico, anche se può precedere il primo alla vigilia di grandi cambiamenti nella struttura economico-istituzionale del paese, oltre che seguirlo quando si sono create condizioni stabili di crescita.
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Invece, tutti quelli che “gli stranieri ci stanno comprando a pezzettini, signora mia”, oppure “l’investimento estero è una forma moderna di schiavitù” (in effetti, basta osservare la miseranda condizione dei paesi ai primi due posti in Europa in questa classifica), stiano sereni: al momento siamo e restiamo ben lontani da invasione, colonizzazione e catene.