E’ antica e consolidata tradizione dei media italiani quella di presentare le trasferte estere dei nostri premier come dei successi epocali, destinati a cambiare per sempre il corso del maestoso Fiume della Storia. Anche le gesta fuori patria di Matteo Renzi non fanno eccezione, anzi: fanno epopea.
Al vertice dei partiti socialdemocratici europei tenutosi ieri a Parigi, ospiti del presidente francese François Hollande, che al momento pare molto più somigliante ad un pugile groggy che ad uno statista dotato di visione e solennità tipicamente transalpine, Renzi è stato l’indiscusso trionfatore. E per noi sudditi d’Italia questa non è una sorpresa, visto che da quattro mesi non facciamo altro che sentirci ripetere, ad ogni telegiornale od editoriale sospinto, che “Renzi ci mette la faccia”, oppure che “stiamo facendo la rivoluzione”, o anche che siamo impegnati in “riforme senza precedenti” di cui finora si fatica assai a scorgere traccia che vada oltre versioni duepuntozero del berlusconian-tremontiano “salvo intese” in consiglio dei ministri.
Per questo non ci siamo stupiti leggendo oggi sul Corriere il resoconto della giornata di ieri, per la penna di Paolo Valentino. Che apre la corrispondenza con una logora analogia con uno spot pubblicitario di molti anni addietro di cui protagonista era la Diva (con la maiuscola) Catherine Deneuve:
Oui, je suis Matteo Renzi, sembra dire il presidente del Consiglio dalla copertina di Le Monde Magazine, che gli ha dedicato un servizio di sette pagine in bianco e nero: «Dopo aver conquistato i suoi connazionali, spera di inculcare la renzimania all’Unione Europea»
Subito dopo, Valentino rimarca l’accoglienza esclusiva riservata a Renzi (vero), con un “faccia a faccia preventivo” con Hollande e successiva
(…) scenografica passeggiata nelle stradine dell’ottavo arrondissement, fino all’hotel Marigny dove li aspettavano gli altri partecipanti al vertice
Se pensate che già questi due passaggi siano abbastanza per provocarvi uno shock glicemico, dovete proseguire nella lettura. Scoprirete che, secondo l’articolista del Corriere, Hollande è ormai un docile burattino nelle mani del Florentin Renzi:
«Ma se Hollande ha fatto gli inviti, è stato il premier italiano a dettare l’agenda, salvo poi lasciare al presidente francese il compito di spiegare i risultati dell’incontro, organizzato per definire una posizione comune sul programma della nuova Commissione e sulle nomine dell’Ue, in vista del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno»
E’ fatta, quindi. Dopo le lezioni propedeutiche del professor Padoan agli allievi francesi, ecco l’arrivo di Renzi che si pappa l’Eliseo senza colpo ferire. E riesce pure a dare prova di arguta e magnanima dissimulazione (la versione forte di quel leading from behind che al povero Obama riesce da sempre in modo piuttosto goffo) lasciando al padrone di casa il compito di illustrare le direttive (italiane) per cambiare verso all’Europa.
E Hollande ha eseguito, quasi impeccabile, le istruzioni di Renzi. Cerchiamo una “interpretazione delle regole” di bilancio, in modo da trovare la famosa flessibilità. Hollande è talmente diligente da segnalare il pensiero e la proposta italiana, che tuttavia pare essere la riemersione della carsica Golden Rule, l’oggetto del desiderio degli ultimi governi italiani. Ecco il resoconto di Le Monde:
«Utilizzare tutte le flessibilità vuol dire che rispettiamo i nostri impegni, ma che possiamo sapere quali sono gli investimenti che rientrano o non rientrano nel livello di spese – è la proposta italiana -, fare anche comprendere che su un certo numero di sforzi legati ai fondi strutturali, possono esserci degli aggiustamenti»
Quindi il buon Hollande ha precisato che la Golden Rule e l’esclusione dal calcolo del deficit del matching di spesa nazionale sui fondi strutturali europei sono le “proposte” italiane, che lui cercherà di presentare, tra le altre, al Consiglio europeo del 26 e 27 giugno. E sin qui, tutto bene. Non è da tutti avere un esecutore così fedele. A voler essere malpensanti, però, sembra quasi che Hollande presenti le “proposte” italiane ai tedeschi e poi cerchi di ficcarsi in mezzo, negoziando un esito intermedio. Che, per carità, piuttosto che niente meglio piuttosto. Peccato per una sbavatura che indica che Hollande dovrà ancora studiare a modino il manuale del perfetto euro-renzino replicante se è vero (come è vero) che ad un certo punto delle sue dichiarazioni di ieri si è lasciato sfuggire una frase che pare una impudente rivendicazione di autonomia, così come riferita da Le Monde:
Il signor Hollande ha spiegato che egli contava sul “dinamismo” del signor Renzi, durante la presidenza italiana della Ue, a partire dal primo luglio. Ma il presidente ha ricordato che [la presidenza] “non dura che sei mesi” e che il ruolo di queste presidenze è divenuto meno importante dopo l’istituzione del Consiglio europeo.
Ecco, di questo “dettaglio” autonomista e minimizzatore di Hollande non vi è traccia sulla stampa italiana, e lo stesso articolista del Corriere si limita a citare solo la prima parte della frase, quella del “dinamismo”. Una amnesia selettiva fatta per non confondere i lettori italiani dal senso della trionfale tournée parigina di Renzi. N’est-ce pas?