Come informa Istat, a gennaio la produzione industriale italiana ha segnato uno scioccante meno 0,7% mensile, contro attese per un recupero dello 0,2%. Ancora una volta, le previsioni sono state fragorosamente sconfessate. E questa non è l’unica cattiva notizia del giorno, peraltro.
Nella media del trimestre novembre-gennaio l’indice aumenta del solito asfittico 0,1% rispetto al trimestre immediatamente precedente. Corretto per gli effetti di calendario, a gennaio l’indice diminuisce in termini tendenziali, cioè annuali, di ben il 2,2% (i giorni lavorativi sono stati 20 contro i 21 di gennaio 2014). L’indice destagionalizzato presenta variazioni congiunturali positive nei comparti dell’energia (+0,5%) e dei beni di consumo (+0,1%); diminuiscono invece i beni strumentali (-1,8%) e i beni intermedi (-0,2%), e la flessione di queste due voci non è particolarmente positiva, diciamo.
Male anche le variazioni in termini tendenziali, cioè annuali: gli indici corretti per gli effetti di calendario registrano infatti, a gennaio 2015, flessioni in tutti i comparti; diminuiscono i beni intermedi (-2,8%), l’energia (-2,7%), i beni di consumo (-2,0%) e, in misura meno rilevante, i beni strumentali (-0,9%). Ma le cose sarebbero andate anche peggio, se a gennaio il settore della fabbricazione dei mezzi di trasporto non fosse giunto in soccorso della produzione industriale, con un poderoso incremento tendenziale del 16,1%. A livello di Eurozona, il dato francese di produzione industriale e manifatturiera di gennaio è ambivalente: bene la produzione industriale, con +0,4% mensile, ma solo grazie ad un forte recupero della componente estrattivo-mineraria, che balza del 7,4% mensile; male quella manifatturiera, a meno 0,1% mensile. Il primo trimestre 2015 parte maluccio, in sintesi.
Altro dato negativo giunge oggi dalla Banca d’Italia. Peggiora infatti la flessione dei prestiti delle banche al settore privato, con un calo dell’1,8% a gennaio dopo il -1,6% fatto segnare a dicembre e novembre 2014. I prestiti alle famiglie sono calati dello 0,5% come nel mese precedente, con buona pace del “boom dei mutui” con cui la stampa quotidianamente ci rintrona la testa, su suggerimento dell’ABI; quelli alle società non finanziarie sono scesi, sempre su base annua, del 2,8% (-2,3% a dicembre).
Che dire, di questi dati? Alcune cose: intanto, che un singolo dato non fa tendenza. Ma questo è vero sia in positivo che in negativo. Questa dovrebbe essere la stella polare che guida le attività olimpioniche di lancio dell’Ansa da parte dei piddini, ma vediamo che l’asimmetria persiste. Oggi, ad esempio, c’è un silenzioso frastuono, e si sente solo il premier fischiettare sul diversivo del giorno. Oggi non sentirete né leggerete scimmiette, cocoriti e disc jockey esibirsi in commenti di questo tipo, tanto per intenderci.
Ma il dato odierno dovrebbe servire anche alla stampa, che sta prendendo la pessima abitudine di considerare come dati acquisiti quelle che sono solo previsioni. Vedasi la stima di Pil del primo trimestre 2015, diffusa nei giorni scorsi da Istat, e che ha un valore centrale di +0,1% trimestrale, frutto di una forchetta compresa tra meno 0,1% e +0,3%. Eppure, tanto è bastato ai nostri media per fare titoli demenziali del tipo “Il Pil torna a crescere”. Ogni volta, restiamo in dubbio se si tratti di malafede o solo di ignoranza.
C’è anche da segnalare una previsione non particolarmente positiva. Sono le stime di andamento dell’attività economica realizzate attraverso dati “in tempo reale”, i cosiddetti nowcasts, che servono a dare il polso immediato della congiuntura. Quelli elaborati dall’asset manager britannico Fulcrum, guidato da Gavyn Davies, mostrano per l’Italia previsioni pessime per il primo e addirittura il secondo trimestre di quest’anno (vedi tabella qui sotto). Ma, ciò che è peggio, mostrano una rilevante divergenza negativa tra l’Italia ed il resto dell’Eurozona, soprattutto verso la Francia. Anche qui: sono previsioni, elaborate con metodologia parzialmente differente da quella abituale e con molti caveat, che dovrebbero indurre a cautela. Non è detto che le cose vadano in questi termini. Ma la magnitudine preoccupa.
Ovviamente, queste considerazioni non interesseranno chi nella vita sbarca il lunario facendo una propaganda dozzinale ad uso di un popolo di gonzi. In Italia, questa “classe verbale” parassitaria è davvero numerosa. Altro inequivocabile segno del nostro declino.
Aggiornamento – Poiché da parte governativa è già pronta la giustificazione, è utile spiegare cosa è accaduto a dicembre (ci vuole pazienza, portatene anche voi). Lo fa Sergio De Nardis di Nomisma:
«Bisogna stare attenti ai motivi tecnici (di tecnica statistica) che possono stare dietro alla flessione di gennaio. Nel commentare il dato positivo e superiore alle aspettative dello scorso mese di dicembre avvertivamo della possibile influenza su quel risultato del numero di giorni effettivi di lavoro (per i ponti presenti a dicembre 2013, ma non a dicembre 2014) che non sono corretti adeguatamente dalle procedure di destagionalizzazione. Ora la correzione al ribasso di gennaio indica che quella diagnosi era corretta e che, in effetti, il buon finale del 2014 era in parte gonfiato. Si rileva, guardando all’andamento medio su più mesi, una dinamica della produzione industriale che non riesce a staccarsi, tra fine 2014 e gennaio 2015, da un sentiero di stagnazione. Riduzione delle scorte e debolezza della domanda interna possono influire su questo andamento. Quel che è certo è che per l’intensità della ripresa italiana occorre di più»
Più chiaro, così? No, vero?