La minaccia emergente e le monadi di casa nostra

In Cina, alle prese con una forte pressione al deflusso di capitali, le autorità hanno ordinato alle banche di aumentare i controlli nei confronti degli esportatori, per ridurre il rischio di operazioni di sovrafatturazione, utilizzate per fare uscire capitali dal paese. Nel frattempo, non si arresta la pressione sulle valute dei paesi emergenti. Oggi il real brasiliano sta perdendo oltre il 3% contro dollaro, dopo che l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha privato il paese del rating investment grade, a causa delle sempre più difficili condizioni di bilancio pubblico, mentre l’inflazione resta sopra il 9% e la disoccupazione ha spiccato il volo.

Altri paesi emergenti si trovano in condizioni molto difficili, subendo deflussi di capitali e non disponendo di sufficienti cuscinetti di riserve valutarie, circostanza che rende futile ogni forma di resistenza al deprezzamento del cambio. Alcuni potrebbero ricorrere a controlli sui capitali per risparmiare riserve, ma questo causerebbe un drastico peggioramento delle loro economie, oltre a pressioni inflazionistiche non lievi.

Come osserva Willem Buiter, capo economista globale di Citigroup, esiste sempre il rischio che qualche paese ricorra al protezionismo, nel tentativo di proteggere e sviluppare la propria industria domestica. Anche se sappiamo che molti masanielli analfabeti di casa nostra letteralmente sbavano per simili iniziative (almeno a parole), questo sarebbe lo scenario peggiore, perché causerebbe un avvitamento delle economie interessate, con esplosioni inflazionistiche.

A questo proposito, è piuttosto preoccupante il fatto che i produttori di acciaio indiani abbiano chiesto al governo l’adozione di una tariffa del 20% sulle importazioni, per la durata di 200 giorni, dopo che il paese è stato inondato di acciaio cinese, russo ed ucraino a prezzi inferiori al costo della produzione domestica. Se si osserva l’andamento del rublo contro la rupia, e se si considera che la sovracapacità produttiva cinese nel settore dell’acciaio è una mina vagante, si comprende sia questo tipo di esito che il rischio paventato da Buiter e non solo da lui.

Oggi i paesi emergenti sono l’area di maggiore potenziale destabilizzante per l’economia mondiale, ed il fatto che i medesimi abbiano sin qui rappresentato il vero motore della crescita globale, aiuta a comprendere perché il rischio recessivo globale non appare trascurabile. Anche considerando che lo spazio di manovra monetaria delle banche centrali tende a produrre bolle ed a spingere in là nel tempo la resa dei conti, alimentando una crescita patologica dell’indebitamento, e che lo spazio di manovra fiscale è molto limitato, un po’ ovunque nel mondo.

È bizzarro ma non troppo il fatto che alcuni governatori di banche centrali emergenti abbiano chiesto alla Federal Reserve americana di procedere con l’aumento dei tassi: secondo il loro ragionamento, meglio togliersi il dente subito. Così, forse, i mercati smetteranno di mitragliare le divise emergenti, e magari potrebbero anche invertire la rotta, se la mossa venisse percepita come “risolutiva”. Non sappiamo se questo è il prodromo della recessione 2016, magari una recessione duepuntozero, nel senso di crescita inferiore al potenziale, quindi con aumento di disoccupazione o suo mancato riassorbimento.

Quello che sappiamo è che la complessità delle interconnessioni economiche globali rende patetici alcuni dibattiti di casa nostra, che hanno a comune denominatore una visione monadica ed “ombelicale” delle nostre lande. Sia da parte di chi vede una nostra non meglio identificata “ripresa” (avete visto gli ultimi dati del manifatturiero globale, inclusi quelli del Giappone?), sia di chi pensa che i mali del mondo si curino con la leva del cambio, “per non svalutare il lavoro”. Bello sarebbe. Se solo vivessimo nel vuoto della nostra lunare propaganda.

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