Pubblicata sul sito del MEF la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza 2015, la cornice per la legge di Stabilità che sarà licenziata dal consiglio dei ministri ed inviata alla Commissione europea tra poco meno di un mese. Dai numeri contenuti nell’aggiornamento si colgono subito quelle che sono le chiavi di volta della costruzione governativa: una politica fiscale che diventa espansiva, sia in assoluto che rispetto al ciclo economico, ed una crescita del Pil nominale che fa un balzo rispetto a quella del 2015, anche grazie all’aumento del deflatore, cioè dei prezzi.
Andiamo per ordine: il governo amplia il deficit, nello scostamento tra il quadro tendenziale e quello programmatico, di ben lo 0,8% del Pil (da 1,4% a 2,2%). La politica fiscale italiana, misurata dalla variazione dell’indebitamento netto strutturale, cioè corretto per il ciclo economico, nel 2016 diviene espansiva. Nel tendenziale era infatti prevista una stretta di mezzo punto percentuale, che avrebbe portato al pareggio di bilancio strutturale (anzi, ad un avanzo dello 0,1% del Pil); invece avremo (vorremmo avere) un’espansione del deficit strutturale dello 0,4%. In altri termini, scostiamo in modo robusto dall’obiettivo di medio termine (Medium Term Objective, MTO). Il rapporto debito-Pil verrebbe comunque a ridursi, ma di circa un punto in meno rispetto al tendenziale.
Veniamo al quadro macroeconomico programmatico. In esso il Pil sale nel 2016 dell’1,6%, contro un tendenziale dell’1,3%. La crescita viene dall’ulteriore recupero dei consumi delle famiglie e dagli investimenti, all’interno dei quali le costruzioni tornerebbero finalmente a crescere. Il Pil nominale, nel quadro programmatico, nel 2016 cresce del 2,6%, meno di quanto previsto nel tendenziale, come somma di una crescita reale dell’1,6% e di un deflatore del Pil dell’1%. Quest’anno il Pil nominale è atteso crescere dell’1,2%, somma di 0,9% di Pil reale e 0,3% di deflatore. In altri termini, Il governo ipotizza che nel 2016 si registri una reflazione, pur se piuttosto contenuta ed inferiore alle previsioni precedenti.
La domanda da porsi è la seguente: quanto è realistica, nel 2016, un’inflazione dell’1%? A naso e occhio, non pare obiettivo eccessivamente ambizioso né gonfiato. Il fatto che sia stato ridimensionato rispetto al tendenziale, in conseguenza anche della deflazione che viene dai prezzi del petrolio, indica che il documento è costruito in modo realistico. Ma molto altro dipenderà, come sappiamo, dall’evoluzione della congiuntura globale, e dal Fattore C. Che purtroppo non sta per buona sorte ma per Cina. Ed al momento il quadro è quello di un costante deterioramento, con squilibri che affiorano progressivamente, portandosi dietro tutto il blocco degli emergenti, sia pure con determinanti non identiche a quelle cinesi. E pressioni deflazionistiche che tornano a manifestarsi.
Ribadiamo il concetto: tra il quadro tendenziale e quello programmatico la differenza la fa soprattutto il maggiore deficit pubblico. Non è un caso che la spesa della pubblica amministrazione nel 2016, che nel tendenziale era attesa contrarsi dello 0,2%, nel programmatico cresce di ben lo 0,8%. Deficit e reflazione sono i capisaldi della strategia governativa. Riguardo al rapporto debito-Pil, come detto, nel 2016 esso scenderebbe ma di circa un punto percentuale meno della previsione tendenziale. Sin qui, Padoan e Renzi hanno enfatizzato che, dal 2017, tale rapporto inizierebbe a ridursi in modo molto vigoroso e virtuoso, frutto di una vera e propria marcia trionfale dell’avanzo primario, che (secondo il quadro programmatico), nel 2017 salirebbe al 3% di Pil per arrivare nel 2019 a ben il 4,3%. Può essere. Intanto, è utile sapere che l’avanzo primario 2016 scende dal 2,4 al 2% del Pil. A legislazione vigente doveva essere del 2,9% del Pil.
Il governo Renzi, come fatto lo scorso anno, chiede alla Ue un altro anno di “accomodamento”, peraltro ben superiore a quanto ottenuto quest’anno, e promette che dal 2017 inizierà una correzione virtuosa dei conti pubblici. Interessante il fatto che, nella premessa del ministro Padoan alla nota di aggiornamento al DEF, si giustifichi il maggiore deficit con le condizioni di incertezza dell’economia internazionale, “da cui deriva un generale contenimento della crescita, a partire dalle economie emergenti che sono state fattore di traino negli ultimi anni”.
Realistico e di apparente buonsenso. È tuttavia come dire che questo rallentamento è in atto e lo andiamo a scontare nei conti pubblici sin d’ora, proattivamente. Ma se rimanessimo fiscalmente neutrali ed il rallentamento si verificasse, il rilassamento avverrebbe comunque, per l’operare degli stabilizzatori automatici. Quindi forse questa motivazione per fare nuovo deficit è deboluccia. La seconda motivazione al maggiore deficit, piuttosto interessante, è legata all’esigenza di reflazionare. Scrive Padoan:
«[…] Nonostante la politica monetaria espansiva adottata negli ultimi mesi dalla Banca Centrale Europea abbia il merito di evitare la deflazione, il tasso di inflazione è tuttora ben lontano dall’obiettivo (fissato poco al di sotto del 2 percento). L’inflazione ha un ruolo decisivo nella traiettoria di riduzione del debito. Un tasso inferiore al previsto può determinare un profilo di riduzione meno marcato pur in presenza di una crescita reale più alta. Il contributo della crescita reale va quindi consolidato e rafforzato»
Ottimo, il ministro conosce e padroneggia la regoletta aurea. Non che ne dubitassimo, per carità. Ma pensare che con una posizione fiscale espansiva si arrivi a reflazionare “a prescindere” da quanto accade nel mondo pare piuttosto eroica, come ipotesi. Diciamo che al governo serviva uno stimolo fiscale esplicito, e tenta di andare a prenderselo. Le motivazioni (o gli alibi) sono ovvia ed evidente conseguenza di questo obiettivo strategico. Ed ora, attendiamo Bruxelles.