La prevalenza del cretino social

Cari lettori, permettete per oggi una divagazione che è anche un divertissement. Parliamo delle dinamiche di “dialogo”, interazione e più in generale di commento che si colgono sulla Rete, tra social network, forum, commenti in calce ai post (nei siti che li consentono) e quant’altro. Dinamiche per classificare le quali non basterebbe un trattato di psichiatria. Qui segnaliamo solo alcune, quelle più sfiziose o divertenti, per fatto personale.

Tralasciamo le fattispecie diffamatorie: quelle vengono perseguite senza remore di violare qualche sacro ed improbabile precetto “liberale”, perché la parola non è gratis, e la reputazione è un bene da preservare. Parliamo invece di alcune rappresentazioni ricorrenti. Ad esempio, l’horror vacui, nel senso che la tendenza piuttosto naturale è quella di attribuire un’etichetta di affiliazione alla persona di cui si leggono gli scritti. Al vostro titolare, in questi anni di chiacchiere, è capitato di essere definito nei modi più disparati, da liberista (a volte pure “sfegatato“) a keynesiano, con varianti. Di recente, pure uno sfiziosissimo “keynesiano di destra”, che immaginiamo sia l’immagine speculare dei “liberisti di sinistra”. I riferimenti all’università di provenienza si sprecano, ma quelli servono solo per gli inutili idioti che pensano che un’università sia una caserma, quindi eviteremo di parlarne. Evitiamo anche di parlare di casi umani che dai social scatenano l’inferno a loro comando, ordinando alle truppe di reagire e colpire gli eretici. Questi soggetti vanno di solito ad esaustione fisiologica, nel senso che si estinguono dopo aver preso atto che il mondo non li merita. I loro zelanti seguaci a volte finiscono sotto le ruote della gioiosa macchina da guerra. Capita, la rivoluzione non è un pranzo di gala.

Molto ricco anche il filone “chi ti manda?”, che spesso è variazione sul tema della affiliazione presunta che serve a ridurre l’ansia da tassonomia. Ad esempio, forse ricorderete che il vostro titolare da sempre è ferocemente critico nei confronti di iniziative di bad bank pubblica, men che mai quelle in cui si cerca di far passare il concetto che domanda e offerta di sofferenze bancarie non si incrociano perché le banche hanno sottoaccantonato ai rischi su crediti, e non per un fantasioso “fallimento del mercato”. Ora, vista la storia personale e professionale di chi scrive, uno schema piuttosto semplice di etichettamento potrebbe essere quello di dire “ecco, il perfido finanziere che vuol fare guadagnare le banche a spese dei contribuenti, un caso palese di conflitto d’interessi!”.

E invece. Invece c’è persino chi riesce a vedere conflitti d’interesse nell’essere contrari a gettare soldi pubblici per salvare banche e banchette, ed i loro vertici spensierati. Un esempio lo trovate qui, dove il brillante anonimo commentatore vede il vostro titolare in “conflitto d’interessi”, solo perché il medesimo non vuole buttare soldi pubblici. Segue sermoncino su cosa “insegnare” e su cosa è il “fallimento del mercato”, ed invocazione di una “cooperativa” che non brami il cattivo “profitto” rettificato per il rischio ma “si accontenti”. Delle perdite, nel caso di specie. Continua a non essere chiaro quale sarebbe il conflitto d’interessi ma probabilmente è nostro limite. In fondo, nella vita molti sognano di prendere la parola nelle assemblee di condominio e di non essere interrotti per almeno 45 secondi, la dinamica è quella.

Poi c’è l’enorme filone delle reazioni alla critica dell’azione del governo Renzi. Critiche che sono identiche a quelle ricevute al tempo del governo Berlusconi. Con qualche variante, come l’essere accusato di “grillismo” (nientemeno) e di essere sostenitore della “decrescita felice” per il solo fatto di non riuscire a vedere il boom di cui il premier vaneggia. Altre reazioni sono comprensibili: si tratta di persone reduci (come tutti noi) da lunghi anni di siccità economica, e che quindi bramano di ricevere buone notizie, fosse anche il fatto che c’è il sole e le temperature sono superiori alla media. Anche qui, umana reazione ma l’analisi è altra cosa. Ah, e non dimenticate il fertilissimo filone del “e gli altri, allora”?, che è uno dei maggiori manufatti del Made in Italy, prodotto del senso di intruppamento e branco dietro al quale molti nostri connazionali amano disporsi, a falange.

Servono etichette e polarizzazioni, in definitiva. “Tu a che banda appartieni?” Il resto segue. Non è neppure trolling, il cui concetto implica una deliberata azione di boicottaggio pretestuoso delle tesi altrui. Più verosimilmente, è solo incapacità di reggere argomentazioni complesse. In fondo, è un modo come un altro per certificare la propria esistenza in vita.

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