San Mario e l’avanzo primario

Gli ultimi dati Istat, riferiti al mese di marzo e relativi sia all’attività manifatturiera che al commercio al dettaglio, vanno letti con alcune accortezze statistiche, ad evitare di trarre conclusioni affrettate. Ma quello che trova conferma, su altri dati, è che, senza l’azione di Mario Draghi, questo paese sarebbe già colato a picco da tempo. Anche per questo motivo, alcune orgogliose rivendicazioni governative appaiono più frutto di propaganda che di effettivo impulso di crescita indotta da non meglio precisate “riforme”.

Due parole sui dati di marzo: quelli di fatturato ed ordinativi industriali sono troppo negativi per essere “veri”, come sempre dovrebbero essere lette variazioni mensili violente, in un senso o nell’altro. In prima approssimazione, possiamo ipotizzare che la Pasqua caduta in marzo abbia distorto la rilevazione congiunturale. Se tuttavia osserviamo le medie trimestrali degli indici destagionalizzati, la tendenza discendente di entrambi è piuttosto evidente, soprattutto per i fatturati. Un raffreddamento della congiuntura, domestica ed esterna, è del tutto plausibile, come spiegazione. Oltre alle persistenti pressioni deflazionistiche sulle materie prime, che si trasmettono alla filiera produttiva.

Industria fatturato e ordini

Discorso analogo per il commercio al dettaglio di marzo, con un interessante fenomeno: malgrado il verosimile aiuto della Pasqua, le variazioni mensili sono negative, sia per alimentari che per non alimentari. Data poi la pressione deflazionistica presente, le variazioni in volume, cioè al netto dell’effetto prezzi, sono ancora più negative. Come già detto in passato, le aziende commerciali praticano sconti aggressivi per spingere i volumi a fronte di una neghittosità della domanda, ed alla fine la loro redditività ne risente, data la struttura di costi fissi d’impresa. Non a caso, le rilevazioni dell’indice dei direttori acquisti di imprese operanti nel commercio al dettaglio sono da molto tempo ampiamente in territorio di contrazione. I volumi crescono, e quello entra nella determinazione della variazione del Pil, con il suo “mini boom”, ma le aziende del settore soffrono. Bisognerebbe riuscire a crescere senza immolare troppe imprese all’obiettivo, diciamo.

A proposito di crescita, del suo contrario e della possibilità di riuscire a piegare l’unica metrica su cui siamo valutati in sintesi dal mondo (il debito-Pil), oggi è stato diffuso un report mensile della Direzione Ricerche e Studi di Intesa Sanpaolo, in cui è presente la simulazione del rapporto di indebitamento italiano sotto varie ipotesi di avanzo primario e di crescita. Come forse ricorderete, quello che serve per piegare il rapporto debito-Pil senza ammazzarsi di avanzi primari che soffocano l’economia, è avere un tasso di crescita del Pil nominale che ecceda il costo medio del debito. Ora, come forse vi sarete accorti, l’Italia è enorme beneficiaria del crollo dei rendimenti, causa ed effetto dell’azione della Bce, che per noi ha significato soprattutto la forte compressione del premio al rischio (per gli amici, lo spread). Come scritto nel rapporto di Intesa,

«Negli ultimi anni si nota un trend di crollo del costo “marginale” del debito (il costo delle nuove emissioni, dal 4,5% del 2012 allo 0,8% del 2016), che si riflette con ritardo sul costo medio del debito, che in pratica è “blindato” almeno per il biennio 2016-17 (ma verosimilmente anche oltre) grazie agli effetti ritardati di quanto avvenuto negli ultimi due anni (principalmente grazie al QE messo in atto dalla BCE). Per quanto riguarda il saldo primario, il trend di miglioramento che si è avuto dal 2011 al 2014 sembra essersi in qualche modo interrotto e potrebbe riprendere non prima del 2018»

Ecco, questo è il punto. Il costo marginale del debito cala, fors’anche sotto quello di crescita nominale del Pil, e di conseguenza aumenta la pressione per “spendersi” parte dell’avanzo primario, anziché proseguire nella riduzione del rapporto di indebitamento. Fa parte della natura umana, dopo tutto. Ciò detto, è abbastanza chiaro per quale motivo Renzi e Padoan stiano da tempo pubblicizzando “la grande discesa” del rapporto debito-Pil, che tuttavia tarda a palesarsi: la tendenza appare “spontanea”, almeno per quest’anno ed il prossimo. Forse il prossimo anno sarà effettivamente quello giusto per questo storico evento, chissà. Ma di certo, se i rendimenti dei titoli di stato italiani dovessero risalire per effetto di aumento di premio al rischio-paese (cioè non in conseguenza di crescita genuina), rischiamo di finire a gambe all’aria, ed in modo anche brutale. Perché il nostro quadro di finanza pubblica, in assoluto ed in relazione alla crescita che abbiamo, resta ad alto rischio. Tuttavia, come segnalato dal report di Intesa, il 2017 potrebbe essere un anno “magico”, per i sostenitori delle mance a pioggia sul popolo sofferente:

«[…] l’indicatore-chiave da cui dipende la sostenibilità del debito è r-g ovvero la differenza tra costo del debito e crescita del PIL nominale. Bene, questo indicatore ha evidenziato un trend in deciso calo negli ultimi 4 anni, e anzi dal 2017 è atteso in territorio negativo (ovvero il tasso di crescita del PIL nominale supererà il costo medio del debito) per la prima volta negli ultimi 10 anni»

Da leccarsi baffi ed orecchie! Nel 2017, a meno di catastrofi o anche solo di incidenti di percorso, sarà possibile prendersi altra “flessibilità” erodendo l’avanzo primario, grazie alla magica congiunzione astrale di un costo del debito pubblico crollato a livelli che anche una crescita esangue può permettersi di gestire. Magari senza scordare che la riduzione del rapporto di indebitamento non va fatto per “gli ottusi burocrati di Bruxelles” né per la perfida Germania, ma “per i nostri figli e nipoti”, come diceva qualcuno tempo addietro.

Bisognerebbe quindi essere maledettamente grati all’azione di Mario Draghi, più che a quella di riforme immaginarie che questo governo avrebbe attuato. Ma che ve lo dico a fare?

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