I tagli e l’icona

Ieri il neo ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, che gode da sempre di eccellente stampa e di familiarità con i vertici confindustriali, essendo stato nello staff dell’ex presidente Luca Cordero di Montezemolo, ha annunciato i profondi cambiamenti al suo ministero, che dovrebbe divenire il traino del cambiamento e dell’innovazione, in una parola dello sviluppo economico (tu guarda i casi della vita), e che per ora appare soprattutto un mix di attività residuali e che potrebbero essere svolte proficuamente anche da altri ministeri.

Sviluppo dell’internazionalizzazione, selettività nell’utilizzo degli incentivi, spinta alla crescita dimensionale d’impresa, rilancio del morticino chiamato legge sulla concorrenza, e quant’altro. Tutti eccellenti propositi, in un paese che resta sclerotizzato a livello pre-terminale, al netto delle chiacchiere del Grande Innovatore che siede a Chigi. Il problema è che, per rilanciare la produttività di questo paese, serve rivoltare il paese medesimo come un calzino, a partire dalla macchina pubblica. Occorre anche fare attenzione ai flussi causali, a dirla tutta: infatti, decentrare in modo prevalente la contrattazione collettiva a livello aziendale, lasciando il resto del paese nella sua miseranda condizione di mercati iper-protetti, pressione fiscale da desertificazione, apparato burocratico pubblico che ostacola più che agevolare, sistema educativo con scarso raccordo con il mondo delle imprese, cioè far restare la produttività totale dei fattori a livello di terzo mondo, è il modo più diretto per portare ad un esito scontato: un gradone all’ingiù delle retribuzioni, come via per consentire il riassorbimento della disoccupazione nel breve termine ed aumentare la quota di valore aggiunto catturata dal capitale anziché dal lavoro. Dopo di che, fermo restando che da qualche parte occorrerà pure iniziare, e che molte di queste leve strategiche competitive dispiegano i propri effetti di produttività su archi temporali profondamente differenti, la transizione non sarà per nulla semplice né indolore.

Chiuso questo ipertrofico inciso, torniamo a Calenda ed alle sue dichiarazioni programmatiche. Tra le quali una ci lascia piuttosto perplessi: l’aver chiesto, a titolo gratuito, la collaborazione di Enrico Bondi quale esperto di revisione di spesa, per efficientare il Mise. Bondi, che ha passato gli ottanta ed è già stato zar della spending review nel governo Monti senza lasciare troppe tracce (non per colpa sua, evidentemente), dovrà “aiutare” Calenda al turnaround del Mise, come dicono quelli che hanno fatto il militare alla McKinsey.

Ora, le domande sorgono spontanee: visto che Calenda è assai incensato manager e che è già passato dal Mise, serviva proprio imbarcare Bondi per la revisione della spesa del ministero? Non esistono dirigenti e funzionari in grado di realizzare quella mappatura di funzioni e mansioni, per il Grande Reset? Vai a capirlo. Questa mossa di Calenda ricorda molto quella dei sindaci che inventano un assessorato alla Legalità, con la maiuscola, e poi ci mettono un super magistrato, a titolo rigorosamente gratuito. Bondi presenterà dei menù di tagli da cui Calenda sceglierà. Possiamo ipotizzare che il neoministro sia in altre faccende affaccendato, come ad esempio lottare per la produttività e per dare un senso compiuto al suo ministero (anche se un senso, quel ministero oggi non ce l’ha), ma ribadiamo: qui parliamo di un ministro-manager, che conosce benissimo la struttura. Mettere alla revisione della spesa interna (per funzioni e programmi) una specie di Madonna Pellegrina dei tagli ci pare molto pop e poco sostanziale.

Poi c’è l’aspetto della gestione delle risorse del ministero verso l’economia: cioè gli incentivi. Qui Calenda si è presentato con piglio garibaldin-decisionista. “Ci sono più incentivi alle startup che startup”. Verissimo, perdio. Serve quello verso cui il governo Renzi ha da sempre allergia acuta: l’analisi d’impatto delle decisioni di spesa. Calenda è l’uomo che può farlo, più di chiunque altro, visto il suo cursus honorum. Passare da un tipico budget pubblico all’italiana, cioè di tipo incrementale, ad uno a base zero, dove le risorse sono allocate per ordini di priorità previa analisi d’impatto, sarebbe una rivoluzione copernicana in un paese rigorosamente tolemaico. Un umile suggerimento a Calenda, sulla scorta di questo suo metodo programmatico: provi a verificare efficacia ed efficienza dei contributi che il Mise eroga generosamente alle sedicenti associazioni di consumatori, per i loro progetti di “difesa” dei poveri cittadini avviluppati dalla crisi. Siamo certi che si può fare molto meglio di così. E buon lavoro al ministro.

 

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