Forse non molti tra voi, nel logorante turbinio della logorroica dichiarazia italiana, ricorderanno che Matteo Renzi, nella sua “scalata” al Pd ed al paese, aveva tra i propri punti fermi l’erogazione di cento euro mensili al popolo sofferente. Ancor meno numerosi quelli tra voi che ricorderanno che quei cento euro sarebbero dovuti andare a dipendenti e pensionati. Si sarebbe dovuto trattare di una forma di “riduzione del cuneo fiscale”, ed il costo di 20 miliardi di euro sarebbe stato finanziato attraverso un epico taglio ad una non meglio identificata “spesa intermediata” dalle amministrazioni pubbliche, per usare le parole di Renzi. Forse era la spesa per consumi intermedi, chi può dirlo.
Le cose, come noto, sono andate assai diversamente. Subito dopo essersi issato a Chigi, Renzi ha scoperto che i tagli di spesa sono recessivi, che serviva sfidare la Ue sulla flessibilità , cioè fare deficit come nuova anzi antica forma di copertura, e si è inventato gli 80 euro, che ancora oggi producono un buco di dieci miliardi annui nei conti pubblici e rappresentano l’ennesima frantumazione di ruolo e funzioni dell’Irpef. Questo per dire quanto è ampio lo scarto tra proclami e realtà , in questo paese. Eppure Renzi non voleva la luna: i suoi obiettivi, al netto della non particolare gradevolezza umana del soggetto, apparivano come cose “all’incirca” fattibili, in un quadro di mantenimento di vincoli e compatibilità , e nel sentiero stretto della crisi fiscale che ormai ha azzerato i margini di manovra della politica. Come da noi intuito praticamente dai primi passi del governo Renzi, la realtà stava decisamente altrove anche rispetto a quegli obiettivi neanche troppo psichedelici del premier. Dopo due anni trascorsi a fare il lavaggio del cervello all’opinione pubblica sugli storici risultati dell’azione del governo, che semplicemente non erano né storici né risultati, Renzi pare aver ricevuto la paga dall’elettorato.
Ma si tratta di una punizione a beneficio di chi propone agli elettori un discorso adulto bensì di chi rilancia con altre e ben più lisergiche fiabe, avendo l’enorme vantaggio di non essere mai stato testato dalla mortale nemica degli italiani, la realtà . Quello che aveva permesso la “scalata” di Renzi (la “narrazione” e l’elemento di presunta discontinuità col “sistema”) sta mettendo il vento nelle vele del M5S. Che negli ultimi tre anni, dall’ingresso in forze in parlamento, ha cambiato pelle più volte, ad esempio nella strategia mediatica. Dal rigetto sdegnato di comparsate negli ossessivo-compulsivi talk politici siamo passati ad una presenza che presto si estenderà anche al meteo. Gli italiani in fondo sembrano essere fatti così: adorano le fiabe, anzi ne hanno un’autentica dipendenza, ne esigono in quantità crescenti ed hanno una curva di assuefazione che è sempre più breve. Fatale che, dopo le fiabe di Renzi, tutto sommato relativamente innocue, al popolo stressato servisse qualcosa di forte: una via di mezzo tra un fungo allucinogeno e la versione senza spargimento di sangue di un’insurrezione popolare. Tutto pare indicare che la stiano avendo.
In attesa di essere sconfessati dai fatti e scoprire che il M5S è una forza matura e pragmatica che ha ben chiaro il vincolo di realtà , vi segnaliamo un piccolo compendio (a nostro avviso neppure troppo preciso, più che altro un bignami a volo d’uccello sulle fiabe pentastellate), di temi economici grillini comparso oggi sul Sole. Sull’euro, torna il mitologico “referendum d’indirizzo”, che giace in parlamento da un anno. Un puro nonsenso, come dovrebbe essere noto anche ai sassi. Ipotizziamo che il referendum abbia luogo, e che vincano quanti vogliono uscire dall’euro. Ottimo, e quindi? E poi? Che accadrebbe? Col M5S al governo, una mitragliata speculativa senza precedenti, che manderebbe il paese a gambe all’aria, travolto da una biblica fuga di capitali, senza neppure essersi avvicinati di un millimetro all’obiettivo finale della fuoriuscita. E vabbè, qui inutile argomentare oltre.
Poi abbiamo il reddito di cittadinanza, concetto molto attraente per una popolazione i cui strati più “colti” stanno già iniziando a salivare sulla più sofisticata nozione di helicopter money. “Ma la misura ha le coperture!”, dicono da sempre i grillini. Anche no. Poi, la “nazionalizzazione” della Banca d’Italia, che secondo i grillini sarebbe privata. Ma anche no. Che altro? Beh, il debito pubblico. Sul quale, come è scritto nell’articolo, dopo aver ricordato che Grillo puntava al default (una suggestiva ipotesi di automutilazione ai genitali), ora la formula magica del giorno è “audit, modello Roma”. Virginia Raggi in campagna elettorale ha tirato fuori questa ideuzza, riferita al debito di Roma Capitale, non senza qualche ragione, visto che pare che moltissimi creditori del comune siano ignoti. Qualcuno tra voi è in grado di spiegarci che diavolo significa “audit del debito pubblico” italiano? La preparazione ad un default parziale? La certosina riclassificazione tra debito accettabile e quello da ripudiare? Vai a saperlo. Ah, ovviamente in caso di default sul debito pubblico le nostre banche fallirebbero un minuto dopo ma questo è un dettaglio, perché comunque avremmo il “referendum d’indirizzo” sull’euro e potremmo avviarci a stampare la nostra felicità e nazionalizzare il sistema bancario. Qui non possiamo che ribadire quanto già detto in passato, su altri “piani ben riusciti” per cui molti arruffapopolo vanno pazzi: se il M5S arrivasse nella stanza dei bottoni e fosse coerente con le proprie “linee guida”, ci sarebbe da fare montagne di soldi scommettendo sul default dell’Italia. Il problema del M5S è che è composto da italiani, e come tale è intelligentissimo, perché solo i cretini non cambiano mai idea.
Il punto è un altro: con Renzi bruciato in soli due anni dal fuoco della realtà , i pentastellati sono l’evoluzione pre-terminale della specie di mentitore seriale: quello “rivoluzionario”. Ma sarà comunque l’elettorato ad aver scelto di andare all in, in caso “l’inarrestabile ascesa” prosegua. È una febbre sempre più alta, quella italiana.