I patrioti della banca perduta

Da qualche tempo, su un settimanale di mercati finanziari e sul corrispondente quotidiano, edito dallo stesso gruppo editoriale, è in corso una singolare campagna “patriottica” a favore delle nostre banche. Gli ingredienti sono i soliti: il complotto dello Straniero, in particolare della Commissione Ue asservita ai tedeschi, e la “speculazione” internazionale che prende di mira i nostri istituti di credito, mettendoli in ginocchio. Nulla di inedito, molto di agostano: alla fine, in un modo o nell’altro, le pagine vanno imbrattate di inchiostro, senza tregua.

La campagna di Milano Finanza e MF si chiama, in modo piuttosto buffo, “La banca c’è“, che dovrebbe essere un omaggio a Guido Meda ed alla sua epica narrativa telecronistica. L’iniziativa prende le mosse da un’altra scossa patriottica, quella che a fine 2011 indusse le banche e gli altri intermediari italiani ad azzerare le commissioni sull’acquisto di titoli di stato indigeni perché qualcuno si era convinto che servisse “rimpatriare” il nostro debito pubblico, al grido “facciamo come il Giappone”, per evitare gli immancabili “attacchi speculativi” contro il nostro debito sovrano. La bislacca iniziativa non lasciò particolari tracce (ed aveva anzi palesi controindicazioni) ma su di essa e per essa si spesero politici, editorialisti e direttori di testata, a volte con palese sprezzo del ridicolo.

Oggi, nel solco di quella tradizione di Calimero (“ce l’hanno tutti con me perché sono piccolo, nero e italiano, è un’ingiustizia, però!”), Milano Finanza ha deciso di dare un poderoso spin da ombrellone alle quotazioni delle banche italiane, e sta cercando di estorcere ad alcuni gestori l’agognata dichiarazione: “il settore bancario è sottovalutato, è tempo di comprare”. Al corale sforzo partecipano alcuni nostri money manager che tuttavia, consapevoli della sottile linea tra valutazioni di mercato ed “altro”, restano possibilisti ma piuttosto vaghi, anche se spendono volentieri qualche parolina contro il komplotto straniero, ottenendo in cambio la marchetta la citazione della propria società e gli immancabili elogi alla “gestione professionale del risparmio”, che tuttavia è esattamente quella che da tempo vende a mani basse i titoli bancari europei e, soprattutto, quelli italiani. Ma sono dettagli.

La pregnante narrativa continua a fare leva su due concetti di base: c’è un complotto straniero che colpisce le banche italiane “per sviare l’attenzione dalla Brexit” (non è uno scherzo, guardate oggi su Mf), ed approfitta della sostanziale assenza di una industria “italiana” del risparmio gestito. Proprio come sosteneva Berlusconi, incompreso: se avesse acquistato Alitalia, Air France avrebbe rapito i turisti stranieri diretti nel Belpaese, e li avrebbe portati nella Valle della Loira. Lo stesso pare accada al risparmio nostrano. Basta leggere oggi Mf:

«[…] il Paese è ricco, produce molto risparmio e proprio per questo è presidiato da case internazionali, che però poi perlopiù esportano questo capitale, lo dirottano altrove»

Per rafforzare il concetto viene data la parola ad un signore (Mario Spreafico), che lavora al Wealth Management della filiale italiana di un gruppo finanziario multinazionale fondato e basato nel Regno Unito, che puntuale punta il dito contro i gestori del risparmio stranieri che operano “secondo criteri anglosassoni” e di conseguenza (manco a dirlo) non conoscono le leggendarie “specificità” del nostro paese. L’importanza di chiamarsi Spreafico, lavorare per una entità della perfida Albione ma essere un vero e proprio “mediatore culturale del risparmio”, evidentemente.

La campagna “La banca c’è” non poteva privarsi dei commenti quasi quotidiani di uno degli editorialisti di punta della testata, Guido Salerno Aletta, già assurto agli onori delle cronache nel funesto 2011 quando, in tandem con l’ex Ragioniere Generale dello Stato, Andrea Monorchio, voleva imporre un’ipoteca sul 10% di tutti gli immobili privati italiani per ridurre il costo del nostro debito pubblico. Questo infaticabile McGyver della finanza pubblica ieri ha partorito un’altra geniale ideuzza per aiutare le banche italiane con soldi di tutti i contribuenti (ça va sans dire). Partendo dalla premessa che serve rafforzare le quotazioni delle banche (ma perché? E in base a quali fondamentali?) e che il bail-in retroattivo è da combattere con ogni mezzo, et voilà:

«Due sono le iniziative da prendere sul piano fiscale, per bilanciare gli effetti delle nuove normative: primo, escludere dal capital gain tutti i miglioramenti delle quotazioni bancarie fintanto che non abbiano raggiunto il corrispondente valore contabile e regolatorio; secondo, detassare i rendimenti delle obbligazioni bancarie soggette al bail-in ma emesse prima dell’emanazione della normativa che ne ha fortemente peggiorato il livello di rischio. Sarebbero misure di buon senso e di equità»

Ohibò, al netto dell’aberrazione concettuale contenuta nel suggerimento (gonfiare per via fiscale i prezzi di una categoria di strumenti finanziari), e dell'”indennizzo fiscale” per compensare l’aumento di rischiosità di un investimento (pensate ad estendere il concetto, cosa ne uscirebbe…), a noi questo pare un vago aiuto di stato settoriale, voi che dite? Per renderlo legittimo, prescindendo dagli aspetti demenziali in esso contenuti, dovrebbe pertanto essere applicato alle quotazioni azionarie ed alle obbligazioni di ogni banca, non solo italiane ma anche di quelle europee. Pagheremmo per Deutsche Bank e Commerzbank, in pratica.

E qui ci fermiamo perché c’è un limite anche alle sciocchezze, malgrado questo limite continui quotidianamente ad essere spinto più in là. Resta il ricco filone del patriottismo economico. E con patrioti del genere in casa, chi ha bisogno di nemici fuori dai confini?

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